Quanto costeranno le spese militari Nato all’Italia: «Si rischiano tagli o nuove tasse»


Quanto costeranno all’Italia le spese militari in base agli impegni Nato? Secondo Giorgia Meloni «non toglieranno un euro agli italiani». Ma per raggiungere l’obiettivo Roma dovrebbe aumentare il budget annuo per la difesa dai 46 miliardi attuali (ovvero il 2% del Pil secondo il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti) a 110. Mentre la spesa complessiva in dieci anni dovrebbe arrivare a 900 miliardi. Il Corriere della Sera stima una manovra aggiuntiva di finanza pubblica di circa 8 miliardi l’anno, per un totale di 450 da qui al 2035. Secondo l’economista Carlo Cottarelli invece sarebbero 350 miliardi. In ogni caso c’è il rischio concreto che per finanziare la difesa servano tagli ad altre spese o nuove tasse.
Quanto costano le spese militari
Per questo l’affermazione di Meloni sembra poco credibile. La Banca centrale europea, la Banca d’Italia, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, e la Corte dei conti dicono che l’impatto sui conti pubblici italiani sarà pesante. E la clausola di salvaguardia di Bruxelles coprirà solo in parte il conto totale. Perché il bonus arriva fino al 2029 e serve per spendere fino all’1,5% del Pil in più per la difesa. Ma con un deficit oltre il 3% sarà difficile lo stesso sforare. Anzi, si rischia «di non uscire mai più» dalla procedura come dice Giorgetti. Secondo l’Upb una spesa maggiore di un quarto di punto di Pil quest’anno e il prossimo porterebbe a 12,3 miliardi di spese e al ritorno del deficit sotto il 3% nel 2027. Se invece spendessimo l’1,5%, rientreremmo nel 2030 per un anno e poi definitivamente nel 2034.
L’impatto sul debito
Non solo: con l’1,5% in più per la difesa (mentre la Nato chiede il 3%) il debito in rapporto al Pil raggiungerebbe il 139% nel 2041. L’Italia è orientata a non chiedere la salvaguardia quest’anno e il prossimo. Perché gli investimenti nel settore militare sono quelli che pagano di meno in termini di ritorno sull’economia. Il moltiplicatore è pari a 0,5: ogni euro speso produce un reddito di 50 centesimi. Dunque, anche se qualcuno dice il contrario, non si ripaga. Né ha effetti strutturali positivi a lungo termine, a parte le infrastrutture. Questo perché buona parte della spesa per la difesa viene assorbita dalle importazioni, in media circa il 60%.
Il 2029
Infine, c’è da segnalare che l’esclusione dal deficit dura fino al 2029. Da quell’anno in poi la maggiore spesa per il riarmo dovrà essere coperta con i bilanci nazionali. Per questo il rischio che per finanziare la difesa servano tagli o tasse è concreto. Il 5% di Pil sono 110 miliardi l’anno. La spesa militare diverrebbe la più onerosa dopo le pensioni (110 miliardi). Più della sanità (88), il doppio della scuola (56) e delle politiche sociali (66).
Numeri piovuti dall’alto
L’economista Cottarelli, ex Fmi, ora direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, dice al fatto che «l’impressione è che siano numeri piovuti dall’alto, senza una chiara spiegazione. Diciamo che quella ufficiale non mi convince molto». Per l’Italia, secondo l’economista, arrivare al 3,5% significherebbe spendere 44 miliardi in più. Anzi, 50 visto che il Pil dovrebbe aumentare: «Fra dieci anni, dovremmo avere un livello di spesa di 44-50 miliardi più alto di quello attuale. Se poi cumuliamo la maggiore spesa su dieci anni si arriva a 350 miliardi. Tutto debito in più, se non si trovano altre fonti di finanziamento».
Un aumento giustificato?
E ancora: «L’ultima volta che abbiamo speso il 3,5% del Pil in difesa era il 1954, era appena finita la guerra di Corea e c’era l’Unione sovietica, che aveva una popolazione pari al 54% di quella dei Paesi Nato. Se l’avversario oggi è la Russia, mi chiedo che senso ha spendere così tanto, visto che ha una popolazione pari al 16% di quella Nato, una spesa militare inferiore a quella dell’Ue e in tre anni non è riuscita a sconfiggere l’Ucraina, ben armata».
L’attacco di Putin
Sempre secondo Cottarelli «il rischio che Putin attacchi un Paese Nato non è zero, ma non è certo altissimo. Non vedo la necessità di portare la spesa a un simile livello per creare un effetto deterrente verso Putin. Non è un avversario per cui spendere il 3,5% del Pil in armi. Un aumento ci stava, ma non è chiaro perché doveva essere così forte». Infine, la domanda delle domande: dove troviamo i soldi? «È evidente che non si può finanziare a debito, nemmeno in parte, anche perché è una spesa permanente. I soldi andranno trovati altrove: con aumenti di tasse o tagli alla spesa. Però la spesa in riarmo ha impatti sul Pil».
Aumenti di tasse o tagli alla spesa
Cottarelli sfata anche l’effetto crescita sul Pil. Che potrebbe arrivare «nel breve periodo dal lato della domanda, come qualunque tipo di spesa, ma non siamo in alta disoccupazione e quindi sarebbero contenuti. In ogni caso, gran parte della spesa militare non aumenta la capacità produttiva del paese, e quindi il Pil potenziale. Peraltro distoglierebbe migliaia di lavoratori da altri impieghi, un azzardo che non credo possiamo permetterci».