Il tribunale dei ministri insiste ancora su Sangiuliano e Boccia. E chiede al Senato l’autorizzazione a procedere per peculato dell’ex ministro


Il tribunale dei ministri di Roma non si arrende e riprova a dare la caccia ufficiale alle chat whatsapp fra l’ex ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano e la sua mancata consulente Maria Rosaria Boccia. Ad interessare tutti i passaggi dei colloqui a proposito della chiave d’oro donata al ministro dal sindaco di Pompei. Le richieste dei giudici erano già state trasmesse in Senato l’11 aprile scorso, ma respinte prima dalla giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. Ora il collegio per i reati ministeriali del tribunale di Roma ci riprova, chiedendo al Senato l’autorizzazione a procedere nei confronti di Sangiuliano per il reato di peculato di cui all’articolo 314 del codice penale.
Il mistero del Senato che non ha reso pubblico il testo della richiesta del tribunale dei ministri
Sulla richiesta inviata in Senato il 26 giugno c’è un piccolo giallo, perché a palazzo Madama è stata stampata e messa on line solo la copertina della richiesta, con l’indicazione del reato, dell’indagato e del collegio precedente. Manca quindi qualsiasi riferimento ai fatti oggetto di inchiesta. È vero però che fra le ragioni con cui era stato motivato il 7 maggio scorso il diniego dell’aula del Senato alla domanda di sequestro di corrispondenza di Sangiuliano, c’era anche la irritualità della domanda del Tribunale dei ministri, non avendo avanzato prima una richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro della Cultura. Secondo le opinioni di alcuni membri della giunta di palazzo Madama raccolte da Open, il nuovo atto dei magistrati sarebbe appunto propedeutico ad ottenere il sequestro di quelle chat whatsapp già richiesto prima di Pasqua.

Il precedente no di Palazzo Madama al sequestro delle chat whatsapp fra i due
Quelle chat a dire il vero sarebbero già note ai magistrati, perché sequestrate alla stessa Boccia in altro procedimento penale. Ma inutilizzabili su Sangiuliano senza autorizzazione del Senato. Il loro contenuto era già stato illustrato davanti all’aula dal relatore, l’azzurro Adriano Paroli: «L’autorità procedente», aveva spiegato, «riferisce che dalle indagini effettuate sarebbe emerso che in data 23 luglio 2024, nell’ambito di una cerimonia ad hoc, veniva consegnato dalla città di Pompei all’allora ministro Sangiuliano, quale onorificenza, una chiave rappresentativa del Comune in questione e che detto monile non sarebbe stato mai messo a disposizione dell’amministrazione, benché di valore superiore al limite di 300 euro previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 2007. Rileva il tribunale che, con una richiesta successivamente inviata al Ministero della cultura dallo stesso ex Ministro, quest’ultimo, comunicando di volersi avvalere delle facoltà di cui all’articolo 2 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 dicembre 2007, sosteneva di aver ritenuto in buona fede che tale oggetto fosse di valore di gran lunga inferiore alla somma di euro 300 e dichiarava di voler corrispondere l’importo eccedente tale limite (circostanza poi effettivamente verificatasi mediante l’effettuazione di bonifici in data 12 novembre 2024 e 27 gennaio 2025). Rappresentava peraltro di non avere il possesso del monile, essendo quest’ultimo nelle disponibilità della dottoressa Boccia».
Il caso della chiave d’oro poi risolto da Sangiuliano che l’ha comprata per 13 mila euro
Quella chiave d’oro valeva in realtà 13 mila euro e Sangiuliano ha spiegato di averla acquistata alla fine del suo mandato come prevedeva una norma di legge. Il ministero della Cultura ha confermato l’avvenuta transazione. Che cosa interessi ancora al tribunale dei ministri non è chiarissimo, e potrà essere svelato solo dalla pubblicazione del testo della richiesta, insolitamente non avvenuto fino a sabato 28 giugno. Ma è probabile che la maggioranza al Senato in assenza di nuova documentazione a supporto respinga anche questa richiesta, come avvenuto per quelle precedenti. Secondo l’ultima relazione che motivava il diniego, infatti, era da rimarcare «la circostanza che l’ex ministro abbia attivato un procedimento penale per tutelare sé stesso e, invece, ora tale procedimento sembra paradossalmente essersi rivolto contro di lui, essendo diventato uno strumento per acquisire materiale probatorio a suo carico in relazione al presunto reato ministeriale». Già allora il tribunale dei ministri era stato accusato dai senatori di accanimento nei confronti di Sangiuliano, è probabile che questa volta il braccio di ferro si ripeta.