Ultime notizie Donald TrumpGazaJannik SinnerMatteo PiantedosiUcraina
CULTURA & SPETTACOLOCinemaLibri

Anna Pavignano e la relazione con Massimo Troisi: «Eravamo una coppia aperta, ma io soffrivo»

14 Luglio 2025 - 07:17 Alba Romano
massimo troisi anna pavignano
massimo troisi anna pavignano
La scrittrice e sceneggiatrice dei film più importanti dell'attore napoletano: «Ci legò l’attrazione tra due persone diverse ma complementari»

Anna Pavignano è stata la compagna di Massimo Troisi. La scrittrice e sceneggiatrice ha scritto con l’attore la maggior parte dei film che l’hanno reso famoso. La loro relazione è iniziata nel 1977 ed è andata avanti per otto anni. E oggi al Corriere della Sera racconta il primo incontro in televisione a Torino: «Io studiavo e facevo la comparsa per arrotondare. Avevo una minigonna e una parrucca rosa. Ma questo è nulla in confronto a quello che indossava lui: calzamaglia, farfallino e vestaglia», dice a Roberta Scorranese.

La vita con Troisi

Troisi si stava conoscere con il trio de La smorfia insieme a Lello Arena e Enzo Decaro: «Stavamo registrando una puntata di Non stop, la trasmissione che li ha lanciati». E si annoiavano: «Mi disse: “Cheppalle!”. Quelle registrazioni erano sfibranti, si stava fermi ad aspettare per ore. Ci guardammo, pensammo la stessa cosa ma alla fine a dirla chiaro e tondo fu lui». Lei era torinese e veniva da una famiglia agiata: «Ci legò l’attrazione tra due persone diverse ma complementari. Da lui ho imparato a lasciarmi andare, lui diceva di aver preso da me un certo rigore nella scrittura». E spiega: «Sono figlia di due genitori che avrebbero voluto diventare “qualcos’altro” e che ci hanno sempre raccomandato di fare un lavoro senza padroni». Risultato: «Io scrivo, mia sorella è pianista».

L’innamoramento e la malattia

«Mi innamorai di Massimo prima che diventasse Troisi. È fuori dubbio che ho amato l’uomo prima dell’artista», spiega. Troisi è morto il 4 giugno del 1994 per un attacco cardiaco. All’epoca soffriva già di cuore: «Aveva subito un’importante operazione alla valvola mitrale. Ma ci scherzava sopra. Nei primi tempi della nostra relazione ci trovavamo spesso a casa mia, con Lello, Enzo e altre mie amiche. L’intervento a cui si era sottoposto provocava un leggero e strano ticchettio. Gli chiesi che cosa fosse e siccome lui amava prendermi in giro, mi rispose che lui e i suoi amici di Napoli erano dediti al furto di orologi». In realtà «lui sapeva di avere un’aspettativa di vita ridotta. D’altra parte, il suo vero sogno era quello di fare il calciatore. Era anche bravo, ma con quel cuore capriccioso ha dovuto lasciar perdere».

Relazione a distanza

La relazione a distanza era fatta di «lunghe lettere, soprattutto mie. Lui scriveva pochissimo, ma una me la ricordo bene. Era un foglio bianco prestampato, al fondo del quale si leggeva: “Nell’ultima riga c’è scritto ti amo”». Lei a volte prendeva il «treno da Torino a Bari, solo per vederlo un’ora, e poi di nuovo il treno per Torino». A volte si incontravano in un’auto: «Lui era in tournée, tappa in Calabria. Io lo raggiungo a Palinuro, ma non c’era un posto per dormire. Così dormimmo in auto, sulla spiaggia. Ma non eravamo soli: io, lui, Lello, Enzo e tutte le maestranze della Smorfia. Tutti in auto, uno sopra l’altro». A Roma hanno convissuto: «Di fatto sì, ma nessuno dei due ha mai detto apertamente “Andiamo a vivere insieme”. Io stavo a casa sua, punto. Per un periodo abbiamo vissuto con Lello e a volte con Enzo».

I signori del castello

E ricorda: «Io e Massimo facevamo “i signori del castello” e stavamo spesso in camera a scrivere, così Lello e qualche altro che capitava in casa si dedicavano a esperimenti culinari. Il problema è che quella gara consisteva nell’aggiungere cose, quindi ne uscivano pastoni immangiabili». Loro due erano «una coppia aperta. Massimo non ha mai negato di avere, in contemporanea, altre storie. E me le raccontava, me le raccontava tutte nei dettagli». Lei reagiva così: «Mi sforzavo di trasformare la gelosia in un esercizio razionale e politico: all’epoca si credeva davvero nella coppia aperta, nel disimpegno e nel “non possesso” dell’altro o dell’altra». In realtà «da una parte, il fatto che l’uomo che amavo mi raccontasse le sue avventure mi faceva illudere di controllare quella storia, di guidare il nostro rapporto. Ma io soffrivo».

La sofferenza

Secondo Pavignano «negli anni Settanta e Ottanta si era genuinamente convinti che altre forme d’amore e di famiglia fossero possibili. E, almeno all’inizio, quando le sue avventure erano qualcosa di temporaneo e leggero, ho fatto funzionare un grande amore. Se avessi ceduto, penso che non saremmo rimasti insieme a lungo». Le tensioni sentimentali sono finite in firm come Pensavo fosse amore… invece era un calesse». Dove Tommaso dice a Cecilia che «uomo e donna non sono fatti per il matrimonio». «Esattamente quello che Massimo pensava. Me lo ha detto sin dai primi tempi». E non voleva figli: «Una volta, cogliendo l’occasione di una coppia di amici che aspettava un bambino, mi lasciai andare a un entusiasmo eloquente. Ma lui non raccolse. Tempo dopo me lo disse chiaramente: non voleva figli perché non voleva assumersi altre responsabilità oltre a quelle che il lavoro gli imponeva».

L’eterna adolescenza

Troisi viveva in una situazione di eterna adolescenza: «Giocava, giocava sempre. Ricordo quando tutti ci rinchiudemmo in un castello nei pressi di Anghiari per scrivere Non ci resta che piangere. Giuseppe Bertolucci non riusciva a scrivere una riga: Massimo e Roberto Benigni avevano trovato un biliardo e continuavano a sfidarsi fingendo di essere l’uno Freud e l’altro Marx. Io e Nicoletta (Braschi, ndr ) eravamo disperate». L’ultimo ricordo è per Pino Daniele. «Per Massimo era molto più di un amico, era una specie di faro della musica. Ma fu Troisi a farmi conoscere Rino Gaetano. Io, in cambio, gli feci conoscere Guccini». Racconti. «Massimo non lo conosceva e sulle prime non gli piacque, lo riteneva poco “solare” rispetto ai suoi gusti. Poi però lo capì a fondo e così quando si conobbero, nella trattoria Da Vito di Bologna, cominciarono un siparietto: “Io ti ammiro”, disse Massimo. “No, io ti ammiro di più”, ribatté Guccini e così per dieci minuti».

leggi anche