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Perché la Valle d’Aosta ha annullato la ricerca sulla cosiddetta «acqua informata»

21 Luglio 2025 - 13:59 Juanne Pili
Cos’è l’acqua informata e perché è riuscita a conquistare un’intera regione nonostante sia priva di fondamento scientifico

Da diverso tempo si è diffusa nelle imprese agricole della Valle d’Aosta la pratica della cosiddetta “acqua informata”. La sua “ascesa” trova l’appoggio delle Istituzioni locali e nazionali almeno fino al giugno 2025, quando la Regione è intervenuta fermando le sperimentazioni. Secondo quanto ha potuto constatare il professor Enrico Bucci, tale pratica presentata come innovativa, manca completamente di basi scientifiche verificabili. «In Valle d’Aosta si diffonde l’uso agricolo dell’“acqua informata”, venduta a caro prezzo in bustine da 10 grammi e promossa da un’azienda senza basi scientifiche ma con una solida retorica», denuncia Bucci su il Foglio.

La critica di Bucci si concentra sulla teoria del metodo della cosiddetta “acqua informata”. Lo si descrive come una «tecnologia sopramolecolare» in grado di «strutturare» l’acqua attraverso segnali fisici non specificati. Quindi si conferirebbero proprietà benefiche per le coltivazioni, come la capacità di sostituire i pesticidi e aumentare la resistenza agli stress ambientali. Tuttavia, Bucci rileva una totale assenza di studi, dati o controlli indipendenti a supporto di queste affermazioni.

Un prodotto tipico di questa operazione è commercializzato come «acqua in polvere» e venduto in piccole bustine a un prezzo elevato. Gli utilizzatori devono discioglierla in acqua, aggiungendo un altro componente acquistabile separatamente. Bucci sottolinea che nessuna spiegazione comprensibile è fornita sul contenuto della polvere o sui processi in gioco, né sul tipo di “informazione” che l’acqua riceverebbe.

Il caso delle pere valdostane

Arriviamo quindi al maggio 2025, col curioso caso delle pere vendute in un ipermercato della Valle d’Aosta. Queste secondo l’etichetta sarebbero state coltivate con «acqua informata». Gli autori del CICAP sono quindi andati a ritroso nel tempo ricostruendo la “genealogia” di un fenomeno che avrebbe portato al caso delle pere valdostane.

La vicenda prende avvio nel 2022. La Regione Valle d’Aosta affida a un’azienda una sperimentazione sul campo. Il provvedimento regionale non dettaglia le caratteristiche tecniche del prodotto, indicando solo una sigla che rimanda alla cosiddetta “acqua informata”. L’unica presunta pubblicazione a sostegno di questa tecnica appare nel 2022 sulla rivista Water. Questa però non compare nei principali database scientifici internazionali come Scopus o Web of Science, dove è possibile trovare solo riviste accreditate.

Gli autori di Query segnalano in particolare alcuni errori grossolani. Memorabile l’attribuzione di un fantomatico premio Nobel in fisica a Linus Pauling, per il «principio del comportamento diamagnetico della molecola d’acqua e della conseguente aggregazione in macromolecole». Pauling in realtà di Nobel ne ricevette due, ma per la chimica nel 1954 e per la pace nel 1962, non certo per la scoperta di un concetto come quello descritto nel paper. 

Nonostante la completa mancanza di una base scientifica, la promozione dell’acqua informata culmina nel 2024 con una serie di conferenze pubbliche. Una avverrà persino presso il Salone del Palazzo regionale ad Aosta. Questo ha portato alla comparsa delle pere valdostane sugli scaffali dell’ipermercato. Ma tutto questo non poteva durare a lungo.

La Valle D’Aosta blocca la sperimentazione

Si arriva quindi al 5 giugno 2025. Il Consiglio regionale della Valle d’Aosta a seguito dell’interpellanza presentata dal gruppo Progetto Civico Progressista ha diffuso un comunicato ufficiale. Vi si ammette l’errore di valutazione in merito alla cosiddetta “acqua informata”. Si annuncia quindi la volontà di non proseguire oltre con la sperimentazione. Né ci saranno collaborazioni future. «Questo arretramento è doveroso e va riconosciuto – commenta Bucci -, così come sono commendevoli la posizione chiara della consigliera Chiara Minelli e la volontà dell’assessorato di non insistere su una strada priva di fondamento scientifico». 

Bene ma non benissimo. Un elemento di forte preoccupazione emerso proprio dalla lettura del comunicato regionale, riguarda il possibile coinvolgimento di enti pubblici nazionali di primaria importanza, come l’Inail e il Crea. Dunque il quadro si complica, assumendo una dimensione nazionale. 

Secondo quanto riportato in un comunicato del Dipartimento agricoltura della Valle d’Aosta, ricercatori del Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza dell’Inail avrebbero contattato la Regione, dichiarando di condurre a loro volta una sperimentazione sulla stessa “tecnologia” in collaborazione con il Crea. Questo ente in particolare, è riconosciuto come la massima istituzione italiana per la ricerca in agricoltura.

Tale rivelazione solleva legittimi interrogativi. Il professor Bucci sottolinea  in particolare che – se confermato -, il coinvolgimento di Inail e Crea in quelli che definisce «progetti di sperimentazione grotteschi», non può essere liquidato come una semplice iniziativa periferica. Sorgono domande cruciali: chi all’interno di questi enti ha autorizzato tali collaborazioni? Sono state valutate da comitati etici o scientifici? Quali protocolli scientifici hanno adottato e con quali criteri hanno verificato i risultati? Primo o poi i due Enti dovrebbero dare delle risposte chiare in merito.

La petizione per ripartire con la sperimentazione

Intanto alcuni sostenitori lanciano una petizione su Change.Org, dove si chiede di ripartire «con la sperimentazione dell’Acqua informata in Agricoltura in Valle d’Aosta». Ed è qui che abbiamo un’altro riferimento al coinvolgimento di Inail e Crea:

«È altresì emerso un contatto informale con ricercatori dell’INAIL e del CREA – continua l’autore della petizione -, che stanno conducendo una sperimentazione […] sulla tecnologia SMT. Questo suggerisce l’esistenza di un interesse e di una ricerca attiva sulla materia anche a livello nazionale da parte di enti autorevoli. L’interruzione della sperimentazione regionale, senza aver preso in considerazione una proposta di collaborazione non onerosa e senza un confronto diretto con questi enti, rischia di precludere preziose opportunità di sinergia e di validazione».

La petizione ha già superato le mille firme in poche settimane. I sostenitori affermano che l’acqua informata migliorerebbe la germinazione, la resa e la salute delle piante, riducendo l’uso di concimi chimici e proteggendo suolo e consumatori. Si parla di purezza, equilibrio tra pianta e ambiente, e un ritorno alle tradizioni locali, presentandola come una vera rivoluzione agricola. Tutte cose molto belle. A chi farebbero schifo? Il problema è che non è chiaro su quali basi scientifiche si fonderebbero. Questo linguaggio, che suggerisce l’idea che minerali o pietre preziose possano «informare» l’acqua tramite frequenze, non trova alcun riconoscimento nei manuali di chimica o agronomia.

Chi sono i firmatari? Pochi, se non nessuno, proviene da professionisti o esperti del settore agricolo. Questo suggerisce che questo genere di petizioni funzioni più come un catalizzatore di malumori e diffidenze esistenti, piuttosto che come una sincera adesione a un metodo collaudato. Il manifesto in oggetto, per esempio, cavalca la diffidenza verso la “scienza ufficiale”, stimolando l’immaginario dei complotti legati alla filiera chimica e invocando il valore del “naturale”.

Mentre altre regioni investono in agricoltura di precisione, digitalizzazione dei processi e miglioramento genetico sostenibile, la Valle d’Aosta rischia di sprecare tempo e fondi pubblici inseguendo un «effetto placebo in bottiglia», come lo ha definito il professor Bucci. E similmente a quanto accaduto per la Xylella in Puglia, ignorare anche stavolta gli allarmi della comunità scientifica metterebbe a serio rischio l’economia della Regione. 

Gli esperimenti su lattuga, riso e mais

Al momento è stato analizzato un documento redatto nel gennaio 2025 da due ricercatori, i quali hanno condotto una serie di esperimenti sull’impatto della tecnologia su colture di lattuga, riso e mais, suggerendo risultati promettenti ma variabili tra le diverse specie agricole.

Per quanto riguarda la lattuga, sono stati condotti i test in serra tra luglio e agosto 2024. Secondo il ricercatore le piante trattate con “acqua informata” hanno mostrato i più elevati livelli produttivi, misurati come biomassa secca.

Nel campo del riso, una prova svolta presso una società agricola nel 2024 avrebbe portato a risultati significativi, sebbene non uniformi. I dati produttivi della prima ripetizione avrebbero rivelato un forte interesse per il trattamento con “acqua informata”. Le parcelle trattate con questa tecnologia produrrebbero in media il 28,56% in più rispetto a quelle non irrorate con “acqua informata”. Sempre secondo gli autori sarebbe emerso un altro caso in cui un campo trattato con “acqua informata” e zeolite pur non ricevendo trattamenti chimici di difesa, avrebbe mantenuto un livello produttivo in linea con le altre parcelle. Quindi il ricercatore suggerisce una capacità indotta di elevata difesa contro gli agenti patogeni. 

Questa riduzione nell’uso di prodotti chimici avrebbe permesso un risparmio notevole di costi aziendali, pari a 549,01 euro per ettaro, rispetto ai trattamenti convenzionali. Tale risparmio inciderebbe fortemente sul conto colturale e sui margini ricavabili. Tuttavia, gli specialisti non hanno rilevato differenze significative nei dati produttivi della seconda ripetizione a seguito del trattamento con “acqua informata”. Si suggerisce che nei cereali con cicli di crescita prolungati e un’elevata esposizione a numerosi eventi irrigui e precipitazioni di grandi volumi, l’acqua e la zeolite trattate avrebbero espresso effetti positivi solo in parte.

Invece, per il mais, i test condotti presso una fondazione non hanno mostrato alcun beneficio evidente. Gli specialisti non hanno rilevato differenze statisticamente significative nella produzione di granella (resa all’umidità commerciale del 14%), né nell’umidità alla raccolta o nel peso ettolitrico, dopo il trattamento con “acqua informata”. Anche per il mais, il lungo ciclo colturale e la vasta esposizione a irrigazioni e precipitazioni potrebbero aver limitato l’efficacia della tecnologia.

A seguito di tali risultati, i ricercatori suggeriscono una promettente efficacia per la lattuga, oltre a benefici significativi e risparmi di costi per il riso, mentre non si sono visti risultati apprezzabili nel mais. Nel momento in cui scriviamo il testo non risulta pubblicato in una rivista scientifica, dove avrebbe potuto almeno essere revizionato da altri esperti. Anzi no, degli scienziati hanno già fatto le pulci al documento.

La revisione dei risultati

I risultati riguardanti gli esperimenti sulle colture di lattuga, riso e mais sono stati sottoposti a revisione da parte di quattro esperti, riscontrandone notevoli limiti, tali da non riuscire a giustificare una riapertura dei rapporti da parte della Regione Val d’Aosta, men che meno per quanto riguarda istituzioni nazionali come l’Inail e il Crea. Il documento, che metterebbe una pietra tombale su questa vicenda reca le firme del professor Enrico Bucci (Adjunct Professor, Biology Dept., Temple University, Philadelphia USA), del professor Pellegrino Conte (Ordinario in Chimica Agraria, Università degli Studi di Palermo ), del dottor Roberto Defez (Senior Researcher, Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR, Napoli) e del dottor Silvano Fuso (Chimico fisico, esperto di spettroscopia – CICAP – Genova).

Secondo i sostenitori della tecnologia della cosiddetta “acqua informata”, questa permetterebbe di «strutturare» l’acqua attraverso «specifiche lunghezze d’onda», arricchendola con minerali e pietre semi-preziose. Si sostiene inoltre che questa mantenga una «memoria fisica» attraverso l’idratazione molecolare. Secondo gli autori della revisione il linguaggio impiegato per descrivere questa tecnologia e i suoi prodotti, come l’«acqua in polvere», «appare vuoto, vago e caratteristico della pseudoscienza».

L’analisi condotta da Bucci e colleghi smonta sistematicamente la validità di tale lavoro, dimostrando che le sue conclusioni non trovano riscontro in solide evidenze sperimentali. Si identificano in particolare tre criticità principali che rendono i risultati inaffidabili:

  • Confusione tra i vantaggi dell’irrigazione fogliare  e la presunta «informazione». Il disegno sperimentale spesso manca di controlli adeguati o non ne effettua di appropriati. Per esempio, nelle prove sulla lattuga, i confronti tra l’acqua informata e l’acqua convenzionale, entrambe nebulizzate, non sono stati eseguiti correttamente, mescolando l’effetto della nebulizzazione fogliare con quello presunto dell’«informazione». Questo errore impedisce di distinguere un reale beneficio dell’acqua informata dal semplice vantaggio dell’irrigazione fogliare;
  • Potenza statistica insufficiente. Con appena due o quattro repliche per trattamento (ad esempio, solo quattro cespi di lattuga per test), i gradi di libertà residuali risultano troppo pochi per stimare in modo affidabile la variabilità interna. Ciò significa che qualsiasi «significatività statistica» rilevata rischia di derivare da fluttuazioni casuali, o «rumore sperimentale», piuttosto che da un vero effetto biologico. La mancata riproducibilità dei risultati nella seconda ripetizione della prova sul riso ne è una chiara dimostrazione;
  • L’unico effetto osservato è attribuibile alla semplice nebulizzazione dell’acqua. Anche volendo considerare i risultati migliori, come quelli sulla lattuga (che gli autori stessi ammettono non essere robusti), l’acqua nebulizzata per opera degli stessi sperimentatori è l’unico dato concreto, indipendentemente dal fatto che questa sia «informata» o contenga zeolite. Ciò emerge chiaramente dal test statistico di Tukey riportato dagli autori del rapporto stesso.

Le prove sulle colture di riso e mais presentano criticità ancora più marcate. Per il riso, manca un controllo con semplice acqua nebulizzata e si riscontrano solo due repliche per trattamento, oltre all’assenza di dati sulla dispersione e di dettagli sui metodi statistici. Per il mais, il disegno sperimentale è considerato il più debole, con sole due repliche e l’assenza totale di un confronto con acqua nebulizzata convenzionale, rendendo qualsiasi risultato privo di significato statistico.

Conclusioni

Gli esperti in merito alla cosiddetta acqua informata concludono che le carenze metodologiche, le discrepanze nella presentazione dei dati, l’assenza di indicatori di dispersione e la mancanza di trasparenza sui metodi statistici, rendono i risultati non verificabili e ad alto rischio di falsi positivi. Come sottolineato dai quattro revisori del documento, «non bastano quattro cespi di insalata per cambiare la fisica e la scienza moderne». È necessario dunque ripensare completamente i protocolli, con controlli appropriati e una potenza statistica adeguata, per una valutazione credibile. 

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