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Accordo Ue-Usa sui dazi, parla l’ex caponegoziatore europeo: «La nostra credibilità danneggiata per sempre» – L’intervista

29 Luglio 2025 - 13:54 Gianluca Brambilla
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John Clarke a Open: «L'Ue si è illusa che avrebbe potuto strappare un accordo "win-win". Ma questo non è affatto l’approccio di Donald Trump»

Nello sterminato elenco di reazioni che ha fatto seguito all’accordo sui dazi siglato tra Donald Trump e Ursula von der Leyen è difficile trovare qualcuno che applauda al risultato ottenuto dall’Unione europea. I giudizi negativi sono piovuti un po’ dappertutto: governi, imprese, associazioni di categoria e non solo. Bruxelles si difende dicendo che l’accordo – siglato a Turnberry, in Scozia, in un golf club di proprietà del presidente americano – ha permesso di scongiurare lo scenario peggiore: dazi al 30% su tutto l’export europeo. Ma davvero non c’era alcuna alternativa? «L’Ue ha dimostrato di essere un negoziatore molto debole, la sua credibilità è stata danneggiata per sempre», spiega in questa intervista a Open John Clarke, ex negoziatore commerciale della Commissione europea ed ex capo della delegazione Ue presso il Wto e l’Onu.

Ha scritto sui social che l’accordo di Turnberry potrebbe passare alla storia come uno dei peggiori accordi commerciali di sempre. Perché?

«Per due ragioni. La prima è che, a differenza di qualunque altro accordo commerciale, riduce il commercio invece di aumentarlo. Imporre un dazio del 15% su quasi tutto l’export europeo danneggerà le imprese e aumenterà i costi per i consumatori. Francamente, credo che si tratti di un accordo anti-commerciale. La seconda ragione ha a che fare con le conseguenze sul lungo termine».

Cosa intende?

«L’Unione europea ha dimostrato di essere un negoziatore molto debole. Nonostante sia il più grande blocco commerciale del mondo e nonostante abbia una politica commerciale comune, l’Ue ha approcciato questi negoziati credendo di avere a che fare con un partner razionale intenzionato a siglare un accordo win-win. Ma questo non è affatto l’approccio di Donald Trump e l’Ue non l’ha capito. In più, gli Stati membri erano divisi sulle contromisure da adottare e la mancanza di unità si è trasformata in un handicap per i negoziatori della Commissione europea».

E quali sono le conseguenze sul lungo periodo di cui parla?

«Penso che la credibilità dell’Unione europea sia stata danneggiata per sempre e che la politica commerciale comune si sia dimostrata fallace. D’ora in poi saremo più deboli sullo scacchiere internazionale e credo che la Cina abbia preso nota di questo accordo con gli Stati Uniti e abbia visto quanto impotente è l’Europa».

Eppure, dalla Commissione europea continuano a ripetere che il peggio – ossia i dazi al 30% – è stato scongiurato. Hanno ragione? Davvero non c’era alcuna alternativa?

«È vero, c’erano alternative peggiori. Un dazio al 30% avrebbe danneggiato moltissimo le imprese europee e l’Ue non si può permettere una guerra commerciale con gli Usa. Questo accordo è stato un esercizio di limitazione del danno. Quindi sì, da un certo punto di vista la Commissione europea ha ragione. Ma comunque non c’è molto di cui essere contenti».

Pensa che l’Ue avrebbe dovuto adottare un approccio più duro di fronte alle minacce di Trump?

«Sì, avrebbe potuto e avrebbe dovuto essere più risoluta fin all’inizio, quando a inizio aprile Trump ha iniziato a imporre dazi. La Cina è stata dura, il Canada è stato duro e lo stesso ha fatto il Giappone, almeno per un po’ di tempo. Anche l’Unione europea avrebbe dovuto fare lo stesso. Credo che Trump sarebbe tornato sui suoi passi se l’Ue si fosse unita fin da subito per approvare contromisure solide».

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EPA/Tolga Akmen | Il presidente americano Donald Trump

Lei dice che l’accordo Ue-Usa ridurrà il commercio tra le due sponde dell’Atlantico. Eppure, l’Ue si è impegnata ad acquistare armi ed energia per svariate centinaia di miliardi di dollari. Questo non vuol dire che, almeno in quei due settori, gli scambi aumenteranno?

«Questa è una di quelle parti dell’accordo su cui Usa e Ue hanno detto cose molto differenti nelle rispettive dichiarazioni alla stampa. Washington parla di un chiaro impegno da parte dell’Europa di comprare armamenti, energia e investire nella manifattura americana, ma l’Ue non può fare una promessa del genere e in conferenza stampa ha spiegato che quei numeri riflettono l’intenzione del settore privato e le prospettive di investimento in questi settori».

Per quanto riguarda l’energia, peraltro, sono le imprese a comprare il gas, non i governi.

«Non esiste uno strumento attraverso cui i governi possono costringere le aziende a comprare gas da uno Stato e non da un altro. Ciò che può fare l’Europa è continuare a limitare l’importazione di energia dalla Russia, così da spingere le imprese a cercarla altrove. Se il petrolio o il gas naturale liquefatto americani avranno prezzi attrattivi, le imprese li compreranno, altrimenti no».

La promessa di acquistare combustibili fossili e armi dagli Stati Uniti non contraddice gli obiettivi del Green Deal e di autonomia strategica? 

«Questo accordo è pieno di contraddizioni. Molta dell’energia che sarà acquistata dagli Usa è di origine fossile, che è in contrasto con gli obiettivi di sostenibilità europei e provocherà un aumento delle emissioni di gas serra. Quindi sì, si muove in direzione opposta al Green Deal, che è già oggetto di continue modifiche, perciò non credo che sarà una grossa preoccupazione per von der Leyen. Per quanto riguarda le armi, gli investimenti negli Usa vanno senz’altro contro le raccomandazioni dei report di Draghi e Letta, che chiedevano più investimenti in Europa».

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EPA/Guillaume Horcajuelo | Il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic

Chi ha la “colpa” per questo accordo così sbilanciato? La Commissione europea o i governi?

«Non mi piace molto l’idea di addossare le colpe per ciò che è successo, ma credo che la Commissione sia stata molto naive nel modo in cui ha approcciato le trattative. Detto questo, sono sicuro che la Commissione avrebbe preferito avere un solito supporto degli Stati membri per rispondere ai dazi di Trump, ma questo non è avvenuto. L’Italia e la Germania, in particolare, sono state molto caute, a differenza della Francia».

Molti governi hanno criticato apertamente l’accordo raggiunto tra von der Leyen e Trump. Cosa può accadere ora? C’è ancora spazio per ottenere qualche concessione in più rispetto a quanto annunciato? 

«Come disse Winston Churchill, questa è solo la fine dell’inizio. Ci sono ancora molte questioni irrisolte, a partire da cosa prevede l’accordo per le auto, la farmaceutica o per l’approvazione di quote nel commercio di acciaio e alluminio. C’è ancora molta confusione su ciò che è stato già deciso e ciò che è ancora da decidere, il diavolo sta nei dettagli e ci sono ancora molti nodi da sciogliere. Quindi no, non è ancora finita. In più, negli Usa continuano a esserci cause legali in corso sull’effettiva legalità dei dazi di Trump».

Nei mesi scorsi, Giorgia Meloni si è fatta avanti per fare da ponte tra Usa e Ue e strappare un accordo migliore. Ha fallito? Oppure non le è stata data la chance di provarci?

«Sicuramente non ha avuto successo, e non perché la Commissione europea ha provato a trattenerla. Anzi, Meloni è andata a trovare Trump nello Studio Ovale e ha chiarito fin da subito che non era lei a guidare le trattative per l’Europa. È stata  fedele all’Ue e ha facilitato il dialogo, ma la sua strategia non ha funzionato. In fin dei conti, a Trump non importa di lei. Gli importa solo dei suoi dazi e di far arricchire se stesso e i suoi amici».

Foto copertina: EPA/Jessica Lee | La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen

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