Puff Daddy ha chiesto la grazia a Donald Trump. Ma il leader Usa nicchia: «È stato ostile con me». Ecco cos’è successo


Sean Diddy Combs, ovvero Puff Daddy, una delle più importanti figure della storia della scena rap americana, sta provando in tutti i modi ad uscire dal Metropolitan Detention Center di Brooklyn dove si trova rinchiuso in attesa che l’iter giudiziario che lo vede coinvolto si concluda. Segnata in rosso sul calendario la data del 3 ottobre, quando al rapper non resterà che sperare nella clemenza del tribunale rispetto ai due capi d’accusa di trasporto a fini di prostituzione per i quali è già stato dichiarato colpevole. Il rapper e producer si è già visto sbattere la porta in faccia più volte dal giudice federale Arun Subramanian quando ha offerto, sia prima del processo sia nei giorni successivi alla dichiarazione di colpevolezza, ben 50 milioni di dollari per uscire su cauzione. La sensazione è che l’ultima speranza per Diddy, che rischia 20 anni di galera (10 per ogni violazione del Mann Act) resti Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti infatti lo scorso maggio, prima della conclusione del processo, aveva pubblicamente dichiarato l’intenzione di valutare una grazia per il rapper e che a tal proposito avrebbe «certamente esaminato i fatti».
La richiesta ufficiale della grazia
Ora Nicole Westmoreland, membro della difesa di Sean Combs, ha dichiarato alla Cnn che il team del magnate della musica ha contattato l’amministrazione Trump per chiedere ufficialmente la firma di Trump sulla grazia. «Abbiamo avuto delle conversazioni» ha detto l’avvocato Westmoreland, ma in realtà l’apertura manifestata a maggio il leader stesso se l’è rimangiata pochi giorni fa in un’intervista con Newsmax nella quale è apparso piuttosto restio ad andare incontro alle rimostranze di Diddy. Le parole del tycoon sulla faccenda sono state chiare: «Eravamo molto amici, mi trovavo molto bene con lui e mi sembrava una brava persona. Non lo conoscevo bene. Ma quando mi sono candidato, si è dimostrato molto ostile». A mettere i bastoni fra le ruote dunque non sarebbe tanto la condanna per un crimine, già ampiamente discussa e risolta in tribunale, ma il mancato appoggio del rapper, personaggio molto influente prima dell’inevitabile crollo, durante le presidenziali. Nel frattempo la Casa Bianca, ufficialmente, ha deciso che «non rilascerà dichiarazioni sull’esistenza o meno di richieste di clemenza». Ciononostante Nicole Westmoreland ammette che il suo assistito «è una persona molto fiduciosa e credo che continui ad avere questa speranza».