Caso Resinovich: non c’è nessuna traccia di guanti sul sacco nero che avvolgeva il cadavere


Quell’impronta «guantata» che doveva, o poteva, essere la pistola fumante del caso Resinovich alla fine tanto guantata non era. Secondo le analisi della Scientifica, non sarebbe di una mano la traccia trovata sul sacco dell’immondizia in cui erano avvolte le gambe di Liliana Resinovich, quando è stata trovata morta il 5 gennaio 2022 nel boschetto dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. A lasciare quel segno sarebbero stati i jeans della stessa vittima, come riporta Il Piccolo. Per la morte di Liliana Resinovich è indagato il marito, Sebastiano Visintin.
Le analisi di laboratorio e la «compatibilità» dei jeans
Gli accertamenti specifici erano stati disposti dal gip nel 2023, quando il giudice aveva respinto la richiesta di archiviazione della procura di Trieste e chiesto approfondimenti su una serie di elementi. Uno di questi era proprio sull’unica traccia trovata sui sacchi neri che avvolgevano il cadavere della 63enne, che si pensava comparabile con il guanto rinvenuto a poca distanza dal corpo. Dopo aver escluso che si trattasse di un’impronta di un terzo, magari un operatore che aveva trasportato il cadavere, le analisi hanno definito la «non compatibilità» tra guanto e impronta. A questo punto, con una serie di analisi di laboratorio in cui sono state replicate le condizioni ambientali del boschetto di Trieste, gli esperti avrebbero notato che i jeans indossati dalla 63enne al momento della morte avevano creato «impronte a trama regolare simili e confrontabili con quella evidenziata sul sacco che ricopriva gli arti inferiori» di Liliana.
Le verifiche sulla Go Pro e l’attacco dei difensori
Al momento, anche le altre verifiche ordinate sulla Go Pro di Sebastiano Visintin non hanno evidenziato elementi di interesse. Le coordinate Gps del percorso fatto dall’uomo dalle 12.16 alle 13.33 del giorno della scomparsa della moglie, il 14 dicembre 2021, sarebbero «in accordo con le immagini riprese dalla videocamera Go Pro e gli orari dei file trovano riscontro con quanto dichiarato da Visintin». L’assenza di elementi concreti a carico dell’indagato è stata colta al volo dai suoi legali: «Sembra che le indagini abbiano preso una direzione contro l’indagato e non a favore della verità. Il nostro timore è che alla fine se non emergeranno sufficienti elementi per sostenere un giudizio, la Procura chiederà l’archiviazione, ma sotto il profilo storico il nostro assistito resterà un indagato. Paradossalmente sarebbe meglio andare a giudizio e uscirne assolti».