Il generale Camporini e l’unico modo per trattare con Putin: «Perché l’Ucraina sarà sicura solo con i nostri soldati sul terreno»


Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa, fissa una condizione imprescindibile perché sia garantita la sicurezza dell’Ucraina, e quindi dell’Europa. Le «garanzie» frutto di accordi politici rischiano di avere fiato corto, spiega Camporini che al Messaggero cita il precedente storico del 1939 che portò all’invasione della Polonia da parte di Adolf Hitler. Secondo il generale non c’è alternativa al dispiegamento di forze militari a difesa del confine ucraino per garantire davvero la sicurezza del paese. Oggi responsabile Difesa e sicurezza di Azione, Camporini insiste che qualsiasi accordo di pace deve prevedere garanzie concrete che solo la presenza fisica di truppe può assicurare. Soldati che agiscano su mandato dei «Volenterosi» e non della Nato.
Le condizioni per la vera garanzia di pace e il precedente «pericoloso»
«Un accordo sarà possibile solo se a Kiev si sentiranno abbastanza sicuri – spiega Camporini a Marco Ventura – Pace e garanzie vanno viste insieme». La disponibilità a trattare svanisce senza la certezza della sicurezza, dice il generale, perché Putin deve sapere che «in caso di nuovo attacco, ci sarebbe una risposta armata di altri Paesi. Non della Nato, che non considera un interlocutore, ma dei volenterosi». Il generale definisce la coalizione dei Volenterosi «tecnicamente possibile, politicamente pericolosa». Il riferimento storico è illuminante: il 25 agosto 1939 la Gran Bretagna stipulò un patto di mutuo soccorso con la Polonia, ma Hitler non lo ritenne credibile e sei giorni dopo invase. «Così funzionano le garanzie», osserva Camporini.
Presenza fisica sul terreno: l’unica garanzia credibile
Lo scenario ipotizzato prevede ucraini lungo i 1200 chilometri di fronte, forze occidentali nelle città interne e americani nei cieli. Per il generale non si tratta di un gioco strategico: «Qualsiasi garanzia militare non può prescindere da uno schieramento di forze sul terreno. Se in caso di aggressione devo spostare le unità dal confine polacco, il gioco non funziona». La presenza in prossimità della prima linea, anche se non direttamente sul fronte, risulta imprescindibile. Il problema è che Mosca ha chiarito che un accordo con questa clausola non può essere stipulato. «Allora non ha senso neanche sedersi a un tavolo».
La pretesa del diritto di veto dei russi
Il parallelo con i negoziati di Istanbul del 2022 è eloquente: la Russia pretendeva il veto sull’intervento occidentale in caso di nuovo attacco. «Se c’è una garanzia fornita da potenze in cui ciascuna ha un diritto di veto, parliamo del nulla», commenta il generale. «Io che voglio attaccare mi accordo che ci sarà una reazione, poi però vi proibisco di intervenire? È infantile».
La situazione militare sul campo
Riguardo agli sviluppi sul terreno, Camporini spiega sotto il profilo tecnico che i russi continuano ad avanzare senza riuscire a sfondare. «C’è stata la penetrazione di alcune unità di assalto russe in una specifica direzione e sarebbero state fermate. Un’avanzata di qualche centinaio di metri pagata a carissimo prezzo e non risolutiva». La pressione russa continua grazie alla superiorità numerica, ma non riesce a superare le difese ucraine. «Chi attacca deve sempre avere forze di gran lunga superiori: i russi sono in vantaggio strutturale, ma non vedo una irresistibile avanzata», osserva il generale.
La guerra di resistenza e le sfide intelligence
«Vince chi resiste di più», sintetizza Camporini, sottolineando l’importanza del lavoro dei sistemi di intelligence, che però attraversano difficoltà. La nomina di Tulsi Gabbard a capo dell’intelligence americana potrebbe comportare il divieto di scambio informazioni nei Five Eyes, indebolendo la condivisione tra Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Il punto cruciale rimane verificare se gli europei possano sostenere l’Ucraina con le proprie risorse o acquistandole dagli americani. Il dispiegamento di truppe resta «molto difficile» perché un contingente non è solo uomini e mezzi: serve una struttura di comando e controllo che non si improvvisa, insiste il generale che aggiunge: «La disponibilità europea dipende anche dall’identificazione di una catena di comando e controllo ad hoc, non Nato».
Le capacità militari ucraine
Il generale riconosce le competenze tecnologiche dell’Ucraina, che «non è un paese del terzo mondo» ma era una centrale tecnologica dell’Urss. Non sorprende quindi lo sviluppo di droni avanzati o del missile Neptun utilizzato per affondare il Moskva, l’ammiraglia russa del Mar Nero. Il nuovo missile Flamingo da 3.000 chilometri rappresenta una minaccia seria: «Può colpire ben all’interno della Russia, è una minaccia che rende vulnerabile gran parte del territorio russo: il Cremlino fa bene a essere preoccupato».
Il contributo italiano: «Il massimo possibile»
L’Italia ha fornito un contributo secretato che Camporini ritiene «il massimo possibile con i nostri arsenali». Incerta rimane la capacità produttiva per rimpinguare le scorte. Il paese partecipa all’air policing e mantiene reparti a rotazione nei paesi Nato confinanti, mentre i velivoli di intelligence raccolgono informazioni di valore strategico sorvolando spazi aerei vicino al confine ucraino.