«Vi spiego perché questa volta il nucleare in Italia si farà davvero» – L’intervista al fisico Antonio Ereditato


L’Unione europea ne è convinta: c’è posto anche per il nucleare nella rivoluzione energetica che sta spingendo il vecchio continente ad abbandonare gradualmente i combustibili fossili e abbracciare fonti di energia pulite. La Commissione Ue punta a raggiungere una capacità complessiva di 109 gigawatt entro il 2050 provenienti proprio dalle centrali atomiche. E l’Italia, che le proprie centrali le ha spente dopo il referendum del 1987, vuole prenotare un posto nella corsa al nucleare. A inizio 2025, il governo Meloni ha approvato un decreto che impegna l’esecutivo ad adoperarsi per reinserire l’energia atomica nel mix energetico nazionale. Da allora, di altri passi significativi ce ne sono stati ben pochi e il tema continua a dividere l’opinione pubblica. «Ma questa volta sono sicuro che il nucleare si farà davvero», dice il fisico Antonio Ereditato in questa intervista a Open. Lo scienziato – che insegna all’Università di Chicago ed è autore del libro Il nuovo nucleare, scritto a quattro mani insieme a Stefano Buono – sarà ospite a Eco Sanfra, il festival dedicato alla sostenibilità economica, sociale e ambientale che si tiene a San Francesco al Prato di Perugia dal 25 al 27 settembre.
Professore, come si spiega questo ritorno in auge del nucleare?
«Il tema è stato sdoganato essenzialmente per tre ragioni. Innanzitutto, per la necessità di decarbonizzare la nostra economia. E poi perché la fascia anagrafica più sensibile alla questione del clima sono i giovani, gli stessi che quando si parlava di Chernobyl e Fukushima non erano ancora nati, perciò sono culturalmente lontani da quei dibattiti».
E la terza ragione?
«Ha a che fare con la crisi energetica. Con la guerra in Ucraina si è capito che l’energia non è un diritto acquisito che scorre gratis da un rubinetto. Noi in Italia abbiamo poche risorse naturali, se non un po’ di sole e vento. Di gas ne abbiamo molto poco, il petrolio non lo abbiamo mai cercato e con il senno di poi forse è meglio così. Un effetto collaterale positivo di questa situazione è che abbiamo iniziato a considerare tutte le fonti di energia, compreso il nucleare. Il sole e il vento non bastano a far funzionare l’economia».
Oggi si parla molto dei piccoli reattori modulari (Smr). Che differenza c’è rispetto alle grandi centrali nucleari di terza generazione?
«Innanzitutto va detto che anche i reattori di terza generazione sono già molto avanzati. In Finlandia ne è entrato in funzione uno lo scorso anno e ha abbattuto i costi dell’energia elettrica. I nordici, che sono molto attenti all’ecologia, hanno capito che il nucleare è verde e non inquina. Ma quelle centrali hanno due caratteristiche meno positive: sono molto grandi (in genere 1,5 o 2 GW) e molto costose (10, 20 o anche 30 miliardi di euro)».
E questi problemi non ci saranno con i piccoli reattori di quarta generazione?
«La fisica è la stessa di sempre, ma la tecnologia è cambiata moltissimo. Per esempio, per raffreddare non servono più gigantesche piscine, ma si possono usare sali fusi e metalli fusi. In più, i reattori di quarta generazione generano non solo energia ma anche calore e idrogeno, fondamentali per l’industria pesante, e permettono di riutilizzare le scorie nucleari delle vecchie centrali».

Fa bene il governo a voler puntare solo sui piccoli reattori? Oppure ha ragione Carlo Calenda quando dice di voler costruire anche centrali di terza generazione?
«Se dovessi scegliere da tecnico, io sarei a favore dell’approccio del ministro Pichetto Fratin, ossia puntare tutto sui reattori di quarta generazione, che a voler essere pessimisti ce li avremo fra al massimo dieci anni. Per i grandi reattori di terza generazione di cui parla Calenda ci vogliono dai cinque ai dieci anni per avere l’autorizzazione e il progetto e altri 5-10 anni per costruirlo. Se pensiamo di risolvere i nostri problemi energetici costruendo adesso reattori di terza generazione, abbiamo già perso».
Come valuta il decreto di inizio anno del ministero dell’Ambiente? Va nella direzione giusta o manca qualcosa?
«Per la prima volta abbiamo un governo che parla a favore del nucleare di nuova generazione. Ciò che c’è scritto nel decreto è giusto, ma resta la palla al piede dei due referendum. Il consiglio che rivolgo ai politici è il seguente: occorre spiegare che quelle consultazioni popolari riguardano tecnologie completamente diverse da quelle di oggi. Ma va anche detto che non si può andare avanti per decreto, altrimenti se si dovesse rifare il referendum perderemmo ancora. Bisogna informare ed educare l’opinione pubblica».
Se il nucleare divide così tanto la politica (e l’opinione pubblica), non si rischia che al primo cambio di governo si fermi tutto l’iter sul nucleare?
«Rispondere ora sì o no è complicato. Ma abbiamo diverse indicazioni del fatto che l’opinione pubblica sta lentamente cambiando. In più, ci sono ragioni oggettive per considerare il nucleare. Ma al di là del fatto che si sono visti pochi gesti concreti finora da parte del governo, sono sicuro che questa volta il nucleare si farà».
Come fa a essere così sicuro?
«Perché ci sono molti privati che ci stanno investendo e sentono odore di profitto. Con il nucleare sta succedendo un po’ la stessa cosa che è accaduta per lo spazio: prima se ne occupavano solo la Nasa e poche altre agenzie nazionali, ora abbiamo Bezos, Musk e i privati di tutto il mondo. Anche con il nucleare ci sono tantissime aziende che stanno investendo miliardi sui reattori di quarta generazione».

Le fonti rinnovabili, rispetto ai combustibili fossili, hanno spalancato le porte alla produzione di energia in modo decentralizzato e distribuito su tutto il territorio. Con il nucleare non si rischia di tornare indietro?
«È vero, per certi versi “centralizzato” è sinonimo di “non democratico”. Ma è anche vero che i piccoli reattori modulari permettono proprio di rispondere a questa esigenza. Ragionare in termini di democrazia, libertà e indipendenza può sembrare ideologico, ma non sempre è così. Agli abitanti di una piccola comunità montana, sperduta sull’Appennino e con un mini reattore che dà energia a tutti per cento anni, cosa gliene frega se Putin smette di vendere gas o salgono i prezzi del petrolio?».
Come se lo immagina il mix energetico italiano al 2050?
«Essere a favore del nucleare non significa trasformare tutto il portafoglio energetico in energia atomica. Come accade nella finanza, anche il mix energetico va diversificato. In Italia, per esempio, abbiamo molto sole e vento. Penso che potremmo arrivare a un 20% di energia prodotta da nucleare e il restante 80% da rinnovabili».
Un’ultima domanda: ha senso parlare di fusione nucleare? Oppure dovremmo concentrarci sulle tecnologie già disponibili?
«Sì, ha senso parlarne perché sarebbe il Sacro Graal dell’energia. È un tema incredibilmente eccitante per un fisico. Ma è altrettanto vero che, da quando abbiamo iniziato a parlarne, si dice sempre che sarà disponibile “tra vent’anni”. Invece non è ancora arrivata e non si sa quando arriverà. Diciamo che se dovessi decidere dove investire i miei soldi, non li metterei nella fusione nucleare».