Almasri, l’ipotesi del conflitto di attribuzioni tra Camera e giudici per bloccare l’inchiesta su Giusi Bartolozzi. Gli atti sulle riunioni per rimpatriare il torturatore libico


La giunta per le autorizzazioni della Camera che dovrà istruire la pratica per i ministri indagati sul caso del torturatore libico Almasri, si è aperta tra le tensioni. In programma c’era la relazione di Federico Gianassi, del Partito democratico, nominato dal presidente Doris Devi (Avs). Ma al di là delle valutazioni di merito sulle accuse per Nordio, Piantedosi e Mantovano, tutti sotto indagine del tribunale dei ministri per aver rimpatriato il militare libico ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja, il tema di scontro si è spostato sulla capo di gabinetto del ministero di via Arenula, Giusi Bartolozzi, indagata dalla procura di Roma per false informazioni all’autorità giudiziaria, come si è appreso ieri. E sulla possibilità di tutelarla.
«Il caso Bartolozzi non esiste»
Bartolozzi, che secondo l’accusa avrebbe mentito nella fase istruttoria dell’inchiesta, quando era semplice testimone della vicenda Almasri (che lei stessa avrebbe gestito in più passaggi) è accusata di false informazioni ma il suo reato non sarebbe «in connessione» con i ministri. Un concetto giuridico, quello della connessione, che consente di portare ad uno stesso giudice reati diversi, commessi da diversi imputati. Secondo l’impianto accusatorio, Bartolozzi invece, accusata di aver mentito in fase di indagine, sarà eventualmente giudicata dal tribunale ordinario e senza passare per la giunta per le autorizzazioni o per il voto della Camera, come invece accade per Alfredo Mantovano, che ministro non è (ma sottosegretario) e per il quale le accuse sono state considerate “connesse” a quelle di Nordio e Piantedosi. «Il caso Bartolozzi al momento non esiste» ha specificato il presidente della commissione, Doris Devi: «Non abbiamo atti, non è di nostra competenza e quindi non ce ne occupiamo. Ci occuperemo solo dei ministri citati fascicolo che ci è stato inviato». Il problema però c’è, dice la maggioranza, e in particolare da Fratelli d’Italia è stato sollevato il caso con la richiesta di fare ulteriori approfondimenti per capire se ci sia una connessione tra i diversi reati o l’ipotesi che il tribunale dei ministri voglia mandare una nuova richiesta per lei.
Il conflitto di attribuzione
Il primo passo per un eventuale scudo per Bartolozzi, e cioè per ottenere che sia protetta come i ministri dal voto dell’Aula di Montecitorio, sarebbe fare un conflitto di attribuzioni con il tribunale dei ministri davanti alla Corte costituzionale. A porre il conflitto dovrebbe essere la Camera dei deputati, non la giunta. E, è l’ipotesi a cui lavora la maggioranza, dovrebbe farlo sostenendo che la capo di gabinetto deve essere appunto giudicata «in connessione». Il Tribunale, valutando differentemente, sarebbe entrato nelle prerogative del Parlamento. Qualunque fosse la risposta della Corte costituzionale, il caso correrebbe comunque in parallelo a quello di Nordio e gli altri, ma la magistrata vedrebbe i tempi del giudizio allungarsi. E di molto.
I rapporti con la Rada, la milizia di Almasri
Il verbale della seduta, depositato sul sito della Camera, ha consentito di sapere qualcosa di più delle accuse ai ministri del governo Meloni, sul caso Almasri. Nella sua relazione, infatti, Federico Gianassi ha ricostruito alcuni passaggi decisivi dei giorni dello scorso gennaio, in cui il torturatore libico Najem Osama Almasri viene fermato a Torino, trattenuto e poi rilasciato, per poi essere rimpatriato su un volo della presidenza del Consiglio. Emergono così alcuni particolari finora perlomeno poco chiari. Prima di tutto il numero di riunioni che tra la domenica 19 gennaio, e il martedi 21, giorno del rimpatrio, si svolgono a palazzo Chigi. Secondo la ricostruzione sarebbero state molte e “Nel corso delle riunioni l’AISE avrebbe sottolineato il rischio di tensioni a Tripoli. Tali tensioni avrebbero potuto sfociare in azioni ostili contro interessi italiani». Soprattutto c’era il rapporto con la milizia della Rada, fondamentale, dal punto di vista del governo, per trattenere i migranti sulle coste libiche: «Erano temute anche ritorsioni contro altri interessi italiani, in particolare quelli economici collegati alla gestione dell’impianto ENI a Mellitah, attivo nell’estrazione del gas, e quelli legati all’immigrazione, costituendo la milizia RADA il soggetto che esercita i poteri di sicurezza nelle zone indicate e sussistendo con la medesima una relazione rafforzatasi nell’ultimo anno».
La riunione del lunedì e la decisione sul cosa fare
La decisione conclusiva sarebbe stata presa nella riunione di lunedì 20 gennaio, «cui avrebbero partecipato partecipato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio–Autorità delegata, il Ministro degli Esteri, il Ministro dell’Interno, con i rispettivi Capi di Gabinetto, il Capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia, il Direttore dell’AISE, il Direttore dell’AISI, il Capo della Polizia e il Direttore generale del DIS, e probabilmente anche il Ministro Nordio”. Qui si sarebbe deciso che il ministero della Giustizia doveva limitarsi a non rispondere alla richiesta della Corte d’Appello di Torino: «avrebbe determinato l’adozione di una decisione di scarcerazione e, all’esito di quella, di espellere poi Almasri ricorrendo al volo CAI già predisposto prima della decisione sulla scarcerazione».