«Pronti anche a votare con la sinistra pur di sfiduciare von der Leyen»: la linea di Borchia, capogruppo Lega a Strasburgo – Intervista


Da Strasburgo – Dopo un’intera estate passata a fare i conti con trattative commerciali e venti di guerra, per Ursula von der Leyen si prospetta un autunno altrettanto intenso. La maggioranza che la sostiene – composta da Popolari, Socialisti e Liberali – è più litigiosa che mai. E c’è chi, da un estremo e dall’altro dell’emiciclo, vorrebbe approfittare delle crepe di questa alleanza per far cadere l’esecutivo europeo. È il caso dei Patrioti, gruppo politico di destra di cui fa parte la Lega, e della sinistra di The Left, di cui fanno parte il Movimento 5 stelle e Sinistra Italiana. Entrambe le famiglie politiche hanno raccolto le 72 firme necessarie per presentare una propria mozione di censura nei confronti di von der Leyen, con i due testi che potrebbero andare al voto già alla sessione plenaria di ottobre. «Queste mozioni sono la dimostrazione di un malcontento che esiste, sia qui in aula che sui territori», spiega Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo, in questa intervista a Open.
Onorevole, posso immaginare che il discorso di ieri di Ursula von der Leyen non le sia piaciuto. Ma c’è qualcosa che l’ha sorpresa?
«Mi ha sorpreso molto la sua volontà di accattivarsi gli applausi dei gruppi di sinistra. Questo mi ha fatto riflettere, soprattutto alla luce della mozione di censura che The Left presenterà. Ma è difficile avere una linea politicamente ben identificata e che abbia una sua fisionomia quando si cerca di compiacere un po’ tutti».
In effetti il discorso sembra aver strizzato l’occhio soprattutto ai partiti progressisti, che ultimamente sono stati molto critici con von der Leyen. Crede che questa maggioranza reggerà?
«Von der Leyen ieri ha parlato della necessità di fare compromessi, una cosa sacrosanta per chi fa politica. Ma quando si segue una linea così snaturata, il compromesso fa sì che le soluzioni siano annacquate. Sembrava quasi che il discorso di ieri fosse la ricetta di una torta, dove è stato messo un po’ di zucchero per accontentare questo, un po’ di farina per accontentare quell’altro. Ma direi che la pasticcera von der Leyen ha convinto poco».
Il gruppo dei Patrioti, di cui fa parte la Lega, presenterà una mozione di sfiducia nei confronti di von der Leyen. E lo stesso farà anche The Left, di cui fa parte il M5s. Non era meglio accordarsi su una mozione unitaria?
«Le mozioni di censura sono la dimostrazione di un malessere che esiste. Non solo in questo Parlamento, ma sui territori e da parte di numerose categorie economiche, che non sono contente di ciò che sta facendo questa Commissione. Una mozione unica sarebbe stata difficile da scrivere sintetizzando le critiche verso von der Leyen. Devo ancora leggere il testo di The Left, ma noi siamo abituati a valutare tutto nel merito».
Jordan Bardella ha detto di essere pronto a votare a favore della mozione della sinistra, mentre quest’ultima ha già chiarito che non voterà a favore della vostra mozione. Cosa ne pensa?
«Questo ci fa capire che c’è chi fa battaglie per inseguire i propri obiettivi e chi fa battaglie per la bandiera e basta. Oggettivamente, è difficile pensare che l’obiettivo di mettere in difficoltà von der Leyen possa essere raggiunto se non si uniscono le forze».
Quindi potreste votare a favore anche della mozione di sfiducia della sinistra?
«Noi abbiamo sempre valutato ogni provvedimento nel merito, emendamento per emendamento. Prendiamo atto senza sorpresa che altri preferiscono arroccarsi su battaglie ideologiche, ma noi non ci spostiamo di una virgola. Cambia l’approccio: da una parte c’è il pragmatismo, dall’altra il talebanismo ideologico».

Se davvero la Commissione von der Leyen dovesse cadere, potrebbe nascere una maggioranza di destra al Parlamento Ue?
«Bisognerebbe chiedere ai Popolari. Se guardiamo l’emiciclo dall’alto, il Parlamento europeo è un’aula di centrodestra. In più, le leggi elettorali nazionali sull’Unione Europea sono tutte proporzionali, perciò quello che si vede in aula è il riflesso di quelle che sono le preoccupazioni, le richieste e le aspirazioni degli elettori europei. La maggioranza naturale sarebbe di centrodestra, ma il Ppe ha preso la decisione di restare sul consociativismo storico che li lega ai Socialisti e ai gruppi di sinistra».
Voi Patrioti sareste pronti a entrare in una maggioranza con Ppe ed Ecr?
«Io non sono particolarmente fiducioso che i tempi siano maturi per il Ppe. Credo che loro continueranno a far vivacchiare questa maggioranza, che ieri si è dimostrata ancora una volta zoppicante, con tanti battibecchi tra un gruppo e l’altro. Se avessimo assistito allo stesso dibattito in un Parlamento nazionale sarebbe stato molto anomalo. Quella attuale è una maggioranza di comodo, che consente di spartirsi poltrone ma non esprime una linea politica chiara».
Passiamo all’accordo con gli Usa sui dazi, che sembra scontentare destra e sinistra. È stato un buon accordo, un cattivo accordo o il migliore che si poteva ottenere?
«Premesso che negoziare in queste condizioni non era facile, non credo che quello firmato sia l’accordo migliore che si poteva ottenere. Io preferisco sempre essere molto netto: non puoi negoziare a nome dell’Unione Europea e poi accontentare alcuni Paesi e scontentarne altri. Se scendiamo poi ad alcuni aspetti settoriali, per esempio le politiche energetiche, sono stati assunti degli impegni che realisticamente non potranno mai essere assolti in tema di importazioni di Gnl».
Hanno ragione i Socialisti a dire che il Parlamento europeo non dovrebbe accettare l’intesa sui dazi così com’è? Sosterrete la loro battaglia?
«Noi siamo qua per difendere i cittadini e le imprese, per cui io non mi do assolutamente fuoco su chi sono i compagni delle singole iniziative che conduciamo. L’importante è portare a casa il risultato. Il nostro gruppo è il terzo più numeroso, perciò abbiamo un peso specifico di primo piano. I nostri voti non sono in regalo o in saldo, perché prima di tutto vengono gli interessi della gente e delle nostre imprese. Quindi siamo pronti a valutare le proposte nel merito e, in caso, a dare una mano».
Ieri von der Leyen ha difeso il Green Deal ed è stata molto chiara sul fatto che il futuro dell’automotive è l’elettrico. Sperate ancora di rivedere lo stop alle auto a benzina e diesel del 2035 oppure la considerate una battaglia persa?
«Io penso che von der Leyen sbatterà violentemente contro la realtà. Sia nell’opinione pubblica che lungo la filiera dell’automotive c’è la contezza che si tratta di un passaggio non realizzabile, perché la tecnologia non si può imporre per legge. Dopodiché, c’è un grosso tema del quale nessuno parla: garantire la mobilità elettrica di tutto il parco automobilistico di un Paese è impossibile con il livello attuale di generazione di energia. Il problema non è la tecnologia in sé, ma l’imposizione. Nella prima metà dello scorso anno, in piena campagna elettorale per le elezioni europee, ci sono state delle aperture sul tema Green Deal, ma poi è stato tutto rimangiato».
Sulle multe alle case automobilistiche ci sono state delle modifiche…
«Sì, ma si tratta di “brodini”. Niente di netto».
In un’intervista a Open, l’eurodeputata francese Pascale Piera ha detto che la Francia dovrebbe trovare nuove risorse finanziarie riducendo il suo contributo al bilancio Ue. Dovrebbe farlo anche l’Italia?
«La situazione francese è diversa dalla nostra, ma capisco che chi deve far quadrare i conti voglia dare un’occhiata alle contribuzioni nette che vengono date al bilancio dell’Unione. Noi ci apprestiamo a iniziare un percorso di due anni che porterà alla formazione del nuovo bilancio Ue, su cui finora von der Leyen è riuscita a scontentare tutti. Il grosso problema è che gli stipendi e le pensioni negli ultimi anni non hanno avuto un andamento coerente con l’inflazione: non è solo una questione di percezione, si fa davvero fatica ad arrivare a fine mese o a mettere da parte delle somme decenti. Questa dovrebbe essere la prima priorità su cui investire, non la spesa militare. Non prendere atto del fatto che ci sono sacche di povertà è un tradimento dei principi fondanti dell’Unione».

Foto copertina: EPA/Olivier Matthys | Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo