Gaza Eldorado? Il piano per la “miniera d’oro immobiliare” di Usa e Israele (e la sua difficile realizzazione)


Un Eldorado per Gaza. La miniera d’oro immobiliare della Striscia di cui ha parlato il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich è un «business plan». Costruito «dalle persone più professionali che ci siano». Il progetto si trova ora sul tavolo del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E si tratta di «un Eldorado immobiliare, non sto scherzando, e si ripaga da sola». Il piano è sempre quello presentato nello Studio Ovale da Tony Blair insieme al genero di Trump Jared Kushner. Costa 100 miliardi di dollari e prevede blocchi di appartamenti di proprietà di investitori immobiliari internazionali e uno sviluppo sul lungomare.
Il piano per Eldorado Gaza
Il Gaza Reconstitution, Economic Acceleration and Transformation Trust (Great) ha l’obiettivo di trasformare radicalmente la cittadina attraverso un’amministrazione fiduciaria multilaterale con la guida degli Stati Uniti. Che nelle intenzioni dovrebbe alla fine portare a un autogoverno palestinese con leadership riformata. Il piano prevede un accordo bilaterale tra Usa e Israele. Con Tel Aviv che trasferisce il controllo della Striscia agli Stati Uniti e investimenti pubblici da 70 a 100 miliardi di dollari, capaci a loro volta di innescare quelli privati fino a 65 miliardi. Dieci i mega progetti di costruzione, assistenza umanitaria e sviluppo economico. Basato sulle donazioni. E poi un trust fondiario per il finanziamento.
L’impatto sociale
Secondo il piano lo sviluppo del progetto porterebbe alla creazione di un milione di posti di lavoro, compreso l’indotto. E una crescita del prodotto interno lordo di 2,7 miliardi di dollari all’anno. Il piano lo ha scritto il Boston Consulting Group, una società di consulenza strategica con un fatturato da 13 miliardi di dollari nel 2024. E prevede zone economiche speciali con condizioni fiscali favorevoli, oltre a diverse tipologie di tecnologie verdi e sostenibili. Ma anche enormi zone cuscinetto di sicurezza israeliane, il che suggerisce la probabilità di una resistenza da parte dei gruppi militanti palestinesi all’occupazione. Ma eliminerebbe definitivamente ogni prospettiva di una soluzione a due stati.
Gaza come Dubai?
Tuttavia, spiega Jonathan Silver, professore di Geografia Urbana dell’università di Sheffield, è piuttosto improbabile che Gaza diventi la nuova Dubai. E anche che si trovino davvero i soldi per realizzarlo. Perché «i rischi per gli investitori finanziari sarebbero enormi. Il primo, e il più pericoloso per un’azienda, sono le responsabilità legali legate al furto dei terreni e la potenziale incorporazione di questi nei procedimenti giudiziari incastonati presso la Corte Internazionale di Giustizia. Un associato senior del think tank del Royal United Services Institute e alcuni media israeliani lo hanno già definito come folle. Il piano Gaza Riviera appare come il prossimo passo verso la cancellazione della presenza palestinese nel territorio».
La logica dell’eliminazione
Il piano, spiega Silver, si basa su due fattori concreti, oltre a quelli finanziari e geopolitici: l’urbicidio e l’espulsione. «In primo luogo, la creazione di questa nuova società implica la demolizione di secoli di ambiente costruito storico e delle reti di supporto della vita urbana. Questo urbicidio di Gaza consiste nella deliberata distruzione delle sue infrastrutture civili , dell’ambiente costruito, delle strade e degli ospedali, privandola del suo carattere fisico e della sua funzionalità di insediamento». E quindi «anche il piano di riqualificazione di Gaza può essere interpretato all’interno di questa logica coloniale: un’idea urbanistica che, per essere realizzata, richiede la cancellazione di tutto ciò che esisteva prima, attraverso l’espulsione della popolazione e l’urbanizzazione dell’ambiente edificato».
Trent’anni
Anche Eytan Gilboa, professore di Relazioni internazionali alla Bar Ilan University di Tel Aviv e visiting professor a Harvard, dice oggi in un’intervista a Il Giornale che la Riviera Gaza è un’utopia: «Trump è un uomo d’affari e vede nel futuro di Gaza un’opportunità. Ma ci vorranno 10-15 anni per la ricostruzione, oltre che centinaia di migliaia di dollari. Prima di vedere una Riviera ne serviranno 25-30. È una situazione simile alla Siria, un paese in rovina, dove sono morte circa 600 mila persone e la metà della popolazione è diventata rifugiata. La ricostruzione di Gaza potrebbe arrivare dopo quella siriana».
Hamas e la Striscia
Tuttavia, secondo Gilboa «Israele e Stati Uniti sono d’accordo che Hamas debba uscire da Gaza, altrimenti non arriverà un centesimo nella Striscia a fine conflitto. Rubio sta cercando di capire: chi pagherà per la ricostruzione? Chi la supervisionerà? È la questione del dopo-guerra ed è diventata rilevante. È ovvio che i paesi arabi ricchi e petroliferi, tra cui Arabia saudita ed Emirati arabi uniti, finanzieranno e di fatto non vogliono che il Qatar abbia un ruolo nella ricostruzione». E questo perché «gran parte dei paesi del Golfo Persico, tra cui l’Arabia Saudita, detestano il Qatar, lo considerano un rivale, sanno che è uno stato jihadista e sono contenti del raid israeliano a Doha. Sanno anche che la sua tv, Al Jazeera, incita all’odio e alla violenza, non a caso è vietata in molte di quelle nazioni, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti, dalla Giordania all’Egitto».