L’accusa all’ex giudice del Papa: «La sua famiglia ha comprato case dai mafiosi»


Giuseppe Pignatone è stato a capo della procura di Roma. Una volta in pensione è diventato presidente del tribunale del Vaticano. Oggi è indagato a Caltanissetta con un’accusa gravissima: favoreggiamento di Cosa Nostra. Insieme all’ex collega Gioacchino Natoli, di cui oggi si parla per le intercettazioni con il senatore M5s Roberto Scarpinato, avrebbero provato a far distruggere bobine e brogliacci dell’inchiesta Mafia e Appalti. E, racconta oggi Giacomo Amadori su La Verità, nell’inchiesta sarebbero emersi i rapporti di Pignatone con i fratelli Buscemi e con Bonura. Dai quali avrebbe acquistato immobili nel primi anni Ottanta. E che poi sono stati riconosciuti come affiliati a Cosa Nostra.
La storia di Pignatone e delle case comprate dai mafiosi
Pignatone si è difeso dicendo di non sapere che quei personaggi fossero vicini alla mafia. Anche se dal 1977 aveva cominciato la sua carriera di pubblico ministero a Palermo. Il 9 luglio, durante un interrogatorio, Pignatone ha anche difeso il procuratore Pietro Giammanco, all’epoca protagonista di una guerra interna tra le toghe. A giugno i pm di Caltanissetta hanno sentito Giovanni Brusca, uno degli assassini della mafia. Trent’anni prima colui che ha fatto sciogliere nell’acido il piccolo Di Matteo e che ha schiacciato il pulsante dell’Attentatuni aveva detto che «il giudice Pignatone era vicino ai Buscemi e questo canale se lo tenevano chiuso e Salvatore Riina, quando ha scoperto di questo canale […] dice “Come? Voi avete questo canale e ve lo tenete stretto per voi?”».
La nuova testimonianza di Brusca
Nella sua nuova testimonianza Brusca ha detto: «Ho sentito della famiglia Pignatone, Salvatore Riina diceva che erano vicini ai Buscemi… Ho saputo da Pino Lipari o da Totò Riina che i Buscemi avevano a disposizione il magistrato Pignatone, si diceva anche che il dottor Pignatone fosse stato trattato bene dai Buscemi in occasione di un acquisto di un appartamento». Si parla di una storia che risale al 1998, quando un carabiniere dei Ros, Domenico Strada, aveva inventariato la ventina di proprietà vendute a Pignatone, alla sua famiglia e al collega Guido Lo Forte dall’Immobiliare Raffaello. Di proprietà dei Buscemi e di Bonura. Che all’epoca però non avevano ricevuto nessuna condanna definitiva per mafia.
L’intercettazione di Bonura
«Nessuno di questi soggetti ha sollevato alcuna perplessità. Non c’è una richiesta di intercettazione di questo procedimento che non sia passata dalle mani di Giovanni Falcone che, dunque, le conosceva anche se non ha mai avuto il rapporto. Anche la procura di Caltanissetta ha escluso che ci fosse un obbligo di astensione a mio carico», ha spiegato Pignatone ai pm di Caltanissetta. Rivendicato i suoi ottimi rapporti con Paolo Borsellino: «Non abbiamo mai avuto contrasti. Ci incontravamo spessissimo in chiesa, anche perché eravamo tra i pochi dichiaratamente cattolici». C’è un’intercettazione del 22 ottobre 2024 in cui il boss Bonura (in carcere) parla proprio di lui: «A Pignatone gli abbiamo venduto le case. Io mi ricordo la madre di Pignatone, mi prendeva a braccetto: andiamo a vedere qua, andiamo là; sì signora, sì signora…».
Le case
«Mia madre, buonanima, era una persona cordiale […], ma che possa prendere sotto il braccio un Bonura o chiunque altro, lo escludo», ha spiegato Pignatone. E ancora: «Il succo è che abbiamo pagato la cifra dell’atto più una somma significativa». Quando la procura gli chiede se conoscesse un documento datato 1976 in cui i costruttori in rapporti con i Pignatone erano indicati come uomini delle cosche, dice di averlo letto solo alla fine degli anni Ottanta, quando è entrato nel Pool antimafia. «Nella vita sociale, economica, culturale di Palermo c’è un prima e un dopo il Maxiprocesso (del 1985, ndr). Dopo scopriamo che c’è Bonura, che c’è Buscemi».