Global Sumud Flotilla si prepara all’assalto «micidiale»: «Ma a bordo troppi interessi privati e niente trasparenza»


Il prossimo assalto alla Global Sumud Flotilla «sarà micidiale». «E se verrà fatto, e purtroppo i miei segnali mi dicono di sì, è molto probabile che questa volta ci siano gravi feriti ed eventualmente morti». La previsione è di Stefano Bertoldi, comandante della Zefiro, una delle barche della Flotilla colpite dai droni. E mentre la Gsf salpa verso Gaza la prospettiva di un abbordaggio da parte di Israele si fa sempre più probabile. Uno scenario che prevede l’intercettazione in alto mare e l’arresto dei 300 partecipanti su 42 barche. Intanto il fotoreporter Niccolò Celesti dice che ha lasciato la spedizione perché ci sono «regole d’ingaggio poco chiare, niente trasparenza e rispetto e troppo protagonismo tra i leader».
La partenza per Gaza e i droni
Da domenica la Flotilla ha lasciato le acque greche per salpare verso Gaza. Dopo la partenza e l’approdo in acque internazionale le imbarcazioni hanno ricominciato a essere seguite da droni. Che però stavolta si sono mantenuti in alta quota, senza scendere per attaccare. Le navi solcano il mare con le vele abbassate di notte. Mentre, spiega oggi Il Fatto Quotidiano, sul come andrà a finire la prospettiva ritenuta più probabile dagli organizzatori resta l’intercettazione in alto mare da parte di Israele. C’è però da dire che nel frattempo altre dieci barche si sono sommate a quelle di partenza. E quindi potrebbe essere complicato per l’Idf bloccarle tutte. Per questo il rischio di incidente continua ad aumentare.
Il fotoreporter
Intanto Niccolò Celesti, fotoreporter sceso dalla Flotilla, scrive a La Verità per dire che sulla Gsf ci sono «troppi interessi privati». Celesti spiega di aver discusse su visioni, procedure e modalità operative con l’organizzazione. E parla di «incomprensioni che in altri contesti passerebbero inosservate qui diventano notizia. Ho cercato di anticipare problemi che, a mio avviso, si sarebbero potuti manifestare durante la navigazione. Problemi legati a differenze di approccio e a regole d’ingaggio che – lo dico con chiarezza – non sono mai state del tutto definite». Il fotoreporter ha espresso in un meeting su Zoom alcune critiche ai vertici del movimento. Senza mai rilanciarle pubblicamente «proprio per non alimentare dibattiti sterili che distoglierebbero l’attenzione da Gaza, che dovrebbe essere il vero centro della questione».
«Vi racconto la Flotilla»
Celesti dice che non ha lasciato la Flotilla «per paura, per motivi personali o familiari». E ribatte: «Se all’interno del movimento ci fosse stata più trasparenza, più rispetto e meno protagonismo, tutto questo probabilmente non sarebbe accaduto. Oggi sono io al centro dell’attenzione. Domani toccherà ad altri: ad attivisti, capitani, giovani che verranno giudicati da chi si nasconde dietro una tastiera. Ma io so da che parte sto. E continuerò a fare la mia parte, con coerenza». Ieri l’ambasciatore italiano in Israele Luca Ferrari è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Isaac Herzog. Il ministero degli Esteri israeliano ha detto che considera l’iniziativa dei volontari «una provocazione al servizio di Hamas».
Lo scenario di un attacco finale
Intanto il governo italiano si gioca la sua ultima carta diplomatica. Perché a Roma si tiene il peggio. E si parla della possibilità di un nuovo attacco entro le prossime 24-48 ore. Con l’obiettivo di fermare definitivamente gli attivisti. Secondo Repubblica il presidente di Israele ha assicurato all’Italia che all’esercito è stato dato l’ordine di «non usare la forza letale». E ha confermato la volontà di non mettere in pericolo la vita dei naviganti. Ma poi si dovrà decidere sul momento. Il blocco, è la previsione, verrà effettuato con un’operazione di abbordaggio sulla falsariga di quella fatta alla nave Madleen a inizio giugno. All’epoca seguì il sequestro e il trasporto degli attivisti a terra in stato di fermo.
Il fantasma del 2010
Ma continua a tornare il ricordo del 2010. Ovvero dell’assalto alla Freedom Flotilla durante l’operazione Piombo Fuso. All’epoca finì con nove vittime. E le autopsie in Turchia dimostrarono che otto di loro furono colpiti da proiettili 9mm. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha illustrato il piano dell’esecutivo. Un ufficiale di collegamento ora si trova presso la Sala operativa dell’Unità di Crisi della Farnesina, in collegamento con la Marina. E farà partire ogni giorno inviti a ritirarsi. L’ultimo avviso sarà lanciato quando la Alpino si troverà a cento miglia nautiche da Gaza. A quel punto verrà indicato il confine oltre il quale scatterà la violazione del blocco israeliano e sarà offerto l’accompagnamento al porto più vicino.
L’invito a fermarsi
Se la Gsf rifiuterà l’invito a fermarsi, la nave della Marina non reagirà alle azioni militari dell’Idf. Neanche per motivi difensivi. Farà solo ricerca e soccorso, secondo quanto prevede la legge del mare. Le speranze di evitare questo scenario sono collegate alla mediazione a cui lavorano i parlamentari italiani e la Chiesa. Secondo La Stampa gli “ambasciatori” di Flotilla chiedono di ripartire dalla bozza d’intesa di qualche giorno fa, quella svelata da Giorgia Meloni durante un punto stampa a New York. Ma con due aggiustamenti. Il primo: che il corridoio per gli aiuti diventi permanente. Il secondo: il transito dei beni di prima necessità deve essere mediato solo dalla Chiesa, senza governi.