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L’Europa e l’idea di dare priorità ai prodotti “made in Eu” (purché green) negli appalti pubblici. La proposta che mette quasi d’accordo Pd e FdI

02 Ottobre 2025 - 15:44 Gianluca Brambilla
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L'iniziativa convince anche il partito di Giorgia Meloni. Ma Procaccini precisa: «Sì ai criteri ambientali minimi, ma non siano obbligatori»

C’è una campagna europea, che ha a che fare tanto con le politiche sulla competitività quanto con il Green Deal, che è riuscita a mettere d’accordo (o quasi) persino il Partito democratico e Fratelli d’Italia. È la proposta Besa, un acronimo che sta per Buy European and Sustainable Act, che chiede di dare priorità ai prodotti realizzati da aziende europee in tutti gli appalti pubblici, a patto che chi li produce rispetti l’ambiente. La Fondazione Ecosistemi ha proposto l’iniziativa e nei giorni scorsi, a Roma, ha lanciato un appello alle forze politiche affinché la sostenibilità diventi un terreno di dialogo trasversale ai partiti. Il risultato, per certi versi inatteso, è che ad appoggiare la proposta non sono solo le principali forze di centrosinistra – Pd, M5s e Avs – ma anche FdI, seppur con qualche distinguo.

Priorità al «Made in EU»

L’idea di concedere un canale privilegiato alle aziende europee negli appalti pubblici non è un’idea del tutto nuova. La stessa Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ne ha parlato apertamente nel recente discorso sullo stato dell’Unione pronunciato a Strasburgo. L’idea di fondo è semplice: di fronte al protezionismo americano e all’agguerrita (e a volte sleale) concorrenza cinese, l’Europa deve tutelare le proprie aziende, inserendo «una preferenza europea negli appalti pubblici per settori e tecnologie critici».

La riforma della direttiva Ue sugli appalti

Il passo concreto in tal senso potrebbe arrivare proprio nei prossimi mesi con la riforma della direttiva europea sugli appalti. Un provvedimento che con ogni probabilità sarà rivisto radicalmente, proprio per mettere al riparo l’industria del Vecchio Continente dalle insidie di Usa e Cina. La proposta del Buy European and Sustainable Act punta a legare la riforma della direttiva sugli appalti con un rilancio delle politiche di sostenibilità. «Ogni anno, in Italia, la Pubblica Amministrazione spende oltre 200 miliardi di euro in beni, servizi e lavori: una cifra enorme, capace di influenzare il mercato, creare lavoro e incidere sulle emissioni di CO₂. Ma se questi soldi venissero spesi privilegiando prodotti e imprese sostenibili, l’impatto sarebbe straordinario: 50mila nuovi posti di lavoro e un taglio di 2,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno», spiega la Fondazione Ecosistemi.

Come funzionano i Criteri ambientali minimi

Nella pratica, la richiesta è di allargare l’uso dei Criteri ambientali minimi (Cam), uno strumento già in vigore in Italia in molti settori, a tutta l’Europa. In questo modo, secondo i promotori dell’iniziativa, il potere d’acquisto delle pubbliche amministrazioni potrebbe essere usato non (solo) per comprare al prezzo più basso, ma anche per premiare le imprese più innovative e sostenibili, rafforzare le filiere europee e ridurre la dipendenza da produzioni extra-Ue che non seguono i rigorosi standard ambientali del Green Deal. Il Parlamento europeo riceverà la proposta nelle prossime settimane, proprio mentre a Bruxelles è in corso il processo di revisione della direttiva Appalti, che dovrebbe concludersi entro il 2026.

Anche Fratelli d’Italia dice sì: «Ma serve flessibilità»

La raccolta firme per il Buy European and Sustainable Act è stata sottoposta all’attenzione di diversi eurodeputati italiani in occasione di un evento organizzato all’Europa Experience – David Sassoli, a Roma. Partito democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 stelle e Fratelli d’Italia hanno espresso un chiaro «sì» ai Criteri ambientali minimi, seppur con qualche distinguo. Secondo Nicola Procaccini, responsabile ambiente ed energia del partito di Giorgia Meloni, è giusto introdurre i Cam a livello europeo «ma con un approccio volontario e flessibile e non obbligatorio, lasciando alle stazioni appaltanti se applicarle quando e se sono davvero efficaci. Non permetteremo che si trasformino in obblighi rigidi che finirebbero solo ad aumentare i costi o a rallentare gli investimenti».

Diversa la posizione di Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd in Europa: «Se c’è troppa flessibilità, nessuno aderisce alle norme. Stiamo parlando di un modello di sviluppo diverso. Negli ultimi trent’anni all’apparato pubblico è stato detto di non spendere, poi con l’arrivo del Pnrr si è detto di correre per spendere il più possibile. Non si tratta di spendere ma di investire, una grande occasione per cambiare il modello. La revisione degli appalti pubblici sostenibili – ha aggiunto l’ex segretario dem – è un modo per produrre ricchezza in modo sostenibile, creare sviluppo: questo dovrebbe essere l’obiettivo delle pubbliche amministrazioni».

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