«Occhi spaccanti», è battaglia sul brand. I legali di Raoul Bova: «Ecco perché Gabriele Picco mente sulla registrazione»


Due occhi stilizzati sormontati da sopracciglia marcate, sotto la scritta: «Occhi spaccanti». Un logo che è diventato anche un marchio registrato. La frase, che Raoul Bova aveva pronunciato via WhatsApp all’amante Martina Ceretti, non è più solo una battuta privata che ha fatto il giro di tutti i social ma è ora anche una battaglia commerciale e legale. Se da un lato l’attore romano aveva deciso ad agosto di tutelarsi registrando l’espressione all’Ufficio brevetti, insieme ai suoi legali Anna Maria Bernardini De Pace e David Leggi, per difendersi dalla diffusione incontrollata online, dall’altro c’è chi vuole trasformarla in business. Si tratta di Gabriele Picco, 51 anni, scrittore bresciano che ha depositato una domanda concorrente, aggiungendo al marchio un disegno stilizzato con l’idea di usarlo per vendere occhiali. Un dettaglio che, dal punto di vista giuridico, potrebbe rendere la sua richiesta più solida.
La risposta dei legali di Bova
Alla mossa di Picco ha risposto il team legale di Bova, spiegando che l’istanza presentata dal 51enne è arrivata dopo quella dell’attore e che nessuna delle due è ancora arrivata a termine dell’iter necessario. «Presentare una domanda di registrazione di un marchio d’impresa non equivale a ottenerne immediatamente la relativa registrazione». È quanto si legge in una nota della legale dell’attore, Annamaria Bernardini de Pace, dove spiega che la richiesta di registrazione del marchio da parte di Bova risale allo scorso 5 agosto. «Mentre invece il Signor Gabriele Picco non solo non ha ottenuto la registrazione del marchio “Occhi Spaccanti” – scrive – ma ha presentato la relativa domanda il 14 agosto 2025. Quindi successivamente».
Il tormentone social
In poche settimane, «occhi spaccanti» era diventato virale: meme, video e persino campagne promozionali, da Ryanair al Napoli fino al Torino. Tutti riutilizzi che avevano spinto Bova a chiedere l’intervento del Garante della privacy, citando le aziende e i profili social che avevano cavalcato l’onda. Un estate tormentata dalla vicenda inziata l’11 luglio, quando Bova riceve un messaggio anonimo: in ballo ci sono file privati con Ceretti, che secondo il mittente, sarebbero finiti nelle mani di Fabrizio Corona.
L’inchiesta giudiziaria
Le indagini della polizia postale hanno portato a Federico Monzino, imprenditore vicino alla modella. Per la pm Eliana Dolce sarebbe stato lui a tentare l’estorsione, con l’iniziale consenso della stessa Ceretti, prima di passare il materiale a Corona. La ricostruzione ha consolidato l’impianto accusatorio: tentata estorsione, con un’inchiesta ormai in fase avanzata.