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«Perché non mi fai un sorriso?», «Che bel cu*o!»: l’esperimento di realtà virtuale per far sentire agli uomini cos’è il catcalling – Il video

26 Ottobre 2025 - 18:20 Alessandra Mancini
Attraverso la realtà virtuale, un gruppo di uomini è stato immerso nei panni di un’avatar femminile vittima di catcalling. «Necessario per aumentare la consapevolezza nei confronti della violenza di genere», dice a Open Chiara Lucifora, autrice dello studio pubblicato su Scientific Reports

«Dove vai tutto solo?», «Che bel culo!», «Oh ma che ti credi bello? Sto solo facendo un complimento!». Frasi che suonano strane, quasi assurde, ma solo perché rivolte a un uomo. Eppure, sono le stesse parole inappropriate che molte donne, se non tutte, si sono sentite rivolgere almeno una volta nella vita. Perché no, non tutti gli uomini molestano, ma sì, chi molesta è (quasi) sempre un uomo. Basta invertire i ruoli e tutto appare più reale. Quando dei perfetti sconosciuti si arrogano il diritto di rivolgersi a una persona con fischi, versi, commenti inopportuni o esplicitamente volgari, e spesso a sfondo sessuale, stanno attuando una forma di molestia verbale nota come catcalling (letteralmente “chiamare il gatto”, dall’inglese cat e calling). Si tratta di una violenza, che fatica a essere riconosciuta come tale perché ancora oggi, culturalmente, viene minimizzata o normalizzata. E, di fatto, non è punibile per legge. Ma se fossero gli uomini a subire tali molestie, come reagirebbero e come cambierebbe la percezione collettiva? 

Lo studio sul catcalling 

Una realtà che può sembrare poco plausibile, ma che è al centro di un esperimento condotto da un team di ricercatori e ricercatrici delle Università di Bologna e Messina, insieme al Cnr-istc (Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione). Utilizzando la realtà virtuale, studenti e studentesse hanno fatto vivere a un gruppo di giovani uomini l’esperienza del catcalling, calandoli nei panni di un avatar femminile vittima di molestie verbali in un contesto quotidiano. «Si tratta di un progetto che nasce dalla necessità di aumentare la consapevolezza nei confronti della violenza di genere», spiega a Open Chiara Lucifora, ricercatrice presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna e prima autrice dello studio. «Ci siamo concentrati sulle molestie verbali, un fenomeno molto diffuso e spesso sottovalutato, che molte donne sperimentano almeno una volta nella vita. L’obiettivo era anche quello di far comprendere agli uomini che queste “frasi” non sono complimenti, ma generano in noi donne emozioni negative, disagio e rabbia». 

La metodologia di ricerca si basa due principi fondamentali: il senso di presenza e il virtual embodiment (incarnazione virtuale). «Questi elementi – precisa la ricercatrice – consentono di vivere l’esperienza virtuale come se fosse reale. Gli studi scientifici dimostrano infatti che, durante un’esperienza in realtà virtuale, il cervello viene “ingannato” e percepisce la situazione come autentica. Ciò si riflette nelle risposte psicofisiologiche, che risultano analoghe a quelle di un’esperienza reale: ad esempio, aumento del battito cardiaco, maggiore micro-sudorazione cutanea e riduzione della temperatura periferica». In altre parole, il corpo reagisce alla simulazione virtuale nello stesso modo in cui reagirebbe a una situazione concreta. I risultati di questo esperimento sono stati pubblicati di recente sulla rivista Scientific Reports.

L’indagine 

Lo studio ha coinvolto 36 giovani uomini, con un’età media di 23 anni, suddivisi in due gruppi da 18 partecipanti e sottoposti a uno scenario di realtà virtuale in cui interpretavano i panni di una giovane donna. In una prima scena, l’avatar femminile si trova nella sua camera, davanti a uno specchio, intenta a prepararsi per andare a una festa. Nella seconda scena, la ragazza arrivava invece in una stazione della metropolitana, dove alcuni personaggi maschili interagiscono con lei. In metà dei casi, le interazioni erano semplici richieste come «Scusa, che ore sono?» oppure «Sai a che ora arriva la metro?». Per l’altra metà del campione, invece, i personaggi maschili si rivolgevano alla ragazza con commenti molesti come «Ehi, dove vai tutta sola?», ma anche «Ehi, perché non mi fai un bel sorriso?». 

Simulazione realtà virtuale, molestie verbali

I risultati: «disgusto», «rabbia» e «paura»

I risultati hanno mostrato che l’aumento delle emozioni negative di rabbia e disgusto si manifesta solo nel gruppo che ha subito il catcalling, indicando che tali emozioni sono strettamente legate alla molestia verbale. Il disgusto «è un’emozione che spinge al rifiuto di comportamenti percepiti come violenti e degradanti», mentre la rabbia «può essere vista come una spinta verso il cambiamento di situazioni percepite come sbagliate», spiega la ricercatrice. Negli altri 18 partecipanti, invece, l’unica emozione negativa rilevata è stata la paura. «Una reazione attesa, data la situazione rappresentata: trovarsi da soli, di sera, in una stazione della metropolitana, nel corpo di una donna, circondata da tre uomini, un contesto che genera naturalmente tensione e timore», precisa la ricercatrice. Ed è, inoltre, emersa una correlazione significativa tra l’intensità di queste emozioni e il grado di identificazione con l’avatar femminile. Solo uno dei 18 giovani uomini che hanno interpretato l’avatar femminile oggetto di molestie ha reagito rispondendo in modo aggressivo. Altri partecipanti allo studio hanno detto invece che avrebbe reagito se si fosse trovato nei panni di un uomo, ma poiché interpretava un personaggio femminile hanno preferito allontanarsi.

Simulazione realtà virtuale, molestie verbali

Sensibilizzare con la realtà virtuale

In contesti educativi, la realtà virtuale può diventare «un mezzo efficace per ricreare situazioni di catcalling e mostrare concretamente l’impatto emotivo negativo che queste esperienze provocano, consentendo ai partecipanti di comprenderne a fondo le conseguenze». In ambito clinico risultati dello studio potrebbero essere utilizzati come «strumento di intervento per favorire una maggiore consapevolezza emotiva ed empatia» negli individui che hanno commesso molestie, con l’obiettivo di promuovere un cambiamento comportamentale. Come sottolinea Lucifora, suscitando un disagio morale, l’intervento mira a stimolare la consapevolezza e a favorire una riflessione profonda sull’effetto delle molestie, con lo scopo ultimo di promuovere un cambiamento culturale e relazionale.

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