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Otto italiani su dieci pensano di lasciare il lavoro per lo stress: così la cultura della performance sta cambiando il mondo del lavoro

29 Ottobre 2025 - 23:54 Davide Aldrigo
salute mentale stress lavoro
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Un rapporto di Unobravo rivela le principali fonti di disagio sul posto di lavoro. Il bilanciamento tra lavoro e benessere psicologico diventa sempre più centrale

Gli italiani guardano sempre di più al bilanciamento tra lavoro e benessere psicologico. Secondo i dati raccolti su un campione di 1700 persone e pubblicati in un rapporto di Unobravo, azienda che offre servizi di psicologia online, sarebbero addirittura otto su dieci gli italiani che hanno pensato di lasciare il proprio posto di lavoro a causa dello stress. Se da un lato questa percentuale mostra la crescente importanza data alla salute mentale in relazione alla vita professionale, dall’altro l’indagine condotta sui lavoratori restituisce l’immagine di un’emergenza silenziosa, che svela quanto la cultura della performance possa alimentare ansia, senso di inadeguatezza e disagio emotivo.

Senso di colpa e inadeguatezza

La sensazione di non essere “mai abbastanza” è un’esperienza comune per la maggior parte dei soggetti intervistati: oltre il 66% dichiara di non sentirsi all’altezza delle aspettative di capi e colleghi e questa pressione si manifesta in un diffuso senso di colpa, provato da più dell’80% dei rispondenti, per non aver lavorato più ore o non aver raggiunto un obiettivo. In virtù di questa ansia, oltre due terzi del campione ha riferito di aver messo da parte sé stessi, la famiglia, gli amici o i propri hobby per il lavoro. Non è un caso quindi che per la maggioranza degli intervistati (58%) la possibilità di lavorare da remoto o in modalità ibrida abbia contribuito a ridurre lo stress legato alla performance.

La paura di esprimere il disagio sul lavoro

La preoccupazione lavorativa ha anche risvolti sulla salute del fisico e può tradursi in mal di stomaco, tachicardia e difficoltà a riposare. Il malessere dei lavoratori viene però spesso sottovalutato dalle stesse aziende: il dato più scoraggiante in questo senso è che il 66% degli intervistati teme di poter essere penalizzato o licenziato qualora ammettesse un calo di produttività dovuto a stress o a problemi psicologici. Questa carenza viene ribadita dalle risposte alla domanda su cosa i lavoratori cambierebbero del mondo del lavoro. Su questo punto, subito dopo la richiesta di maggiori riconoscimenti e retribuzioni più giuste (quasi il 62%), l’urgenza più condivisa è quella per una maggiore attenzione alla salute mentale e alla sicurezza psicologica, evidenziata da più del 50% del campione.

Il lavoro non è tutto

Di fronte a questi dati gli esperti si sono chiesti se le esperienze individuali siano riconducibili a un fenomeno più ampio, culturale. La risposta è sì: «Quando la paura di non essere all’altezza diventa la norma, potrebbe non essere più solo stress: potrebbe rappresentare un segnale di quanto la cultura della performance sia entrata dentro di noi, fino a condizionare il modo in cui percepiamo noi stessi e i risultati ottenuti», afferma la dottoressa Valeria Fiorenza Perris, psicoterapeuta e clinical director di Unobravo. «Il rischio è di trasformare il lavoro da spazio di espressione a metro di valutazione personale», prosegue. Ma proprio per questo, «è importante sottolineare che ritrovare un equilibrio non coincide necessariamente con il chiedere meno a se stessi, quanto con la possibilità di riconoscersi anche al di fuori della sfera performativa».

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