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L’inaspettato legame tra incubi e invecchiamento precoce: una ricerca spiega come fa lo stress notturno ad arrivare fino al Dna

02 Novembre 2025 - 14:27 Gemma Argento
anziani incubi morte precoce
anziani incubi morte precoce
Una nuova ricerca dell’Imperial College di Londra collega gli incubi ricorrenti a segni di invecchiamento biologico accelerato. Chi sogna spesso situazioni di paura mostra livelli più alti di stress cellulare e modifiche epigenetiche del DNA

Gli incubi sono un’esperienza comune ma per una parte della popolazione diventano un disturbo ricorrente che incide sulla qualità del sonno e, in alcuni casi, sul benessere psicologico.

Secondo le principali stime internazionali, oltre l’80% degli adulti dichiara di aver vissuto almeno un incubo nell’ultimo anno, mentre tra il 2% e il 6% ne soffre con frequenza settimanale. In Italia le percentuali non si discostano molto: alcune indagini divulgative parlano di circa un adulto su venti alle prese con incubi frequenti, con una maggiore incidenza tra le donne.

Ora, una nuova ricerca condotta dall’Imperial College di Londra e presentata al congresso della European Academy of Neurology 2025, aggiunge un elemento inedito al dibattito scientifico.

Lo studio suggerisce che gli incubi frequenti non siano soltanto un segnale di stress o di disagio emotivo, ma possano essere associati a processi di invecchiamento biologico più rapidi, misurabili attraverso specifici indicatori molecolari come la lunghezza dei telomeri e alcune modifiche epigenetiche del DNA.

Un legame che apre nuove prospettive sulla connessione tra salute del sonno, funzioni cerebrali e longevità biologica.

Cosa dice la ricerca

Lo studio, condotto dai ricercatori dell’Imperial College di Londra insieme al UK Dementia Research Institute e presentato al congresso della European Academy of Neurology 2025, ha coinvolto oltre 183 mila adulti (tra i 26 e gli 86 anni) e circa 2.400 bambini (dagli 8 ai 10 anni), seguiti per un periodo fino a 19 anni.
All’inizio della ricerca, agli adulti è stato chiesto di indicare quanto spesso avessero incubi; per i più piccoli, la frequenza dei sogni angoscianti è stata invece segnalata dai genitori.

Per capire se esistesse un legame con l’invecchiamento, i ricercatori hanno analizzato alcuni marcatori biologici del tempo che passa:

  • nei bambini è stata misurata la lunghezza dei telomeri, piccole porzioni di DNA poste alle estremità dei cromosomi che funzionano come “tappi protettivi” e si accorciano naturalmente con l’età o in presenza di forte stress;
  • negli adulti, oltre ai telomeri, è stato utilizzato anche un sistema più recente chiamato “orologio epigenetico”, che misura i cambiamenti chimici (metilazioni) del DNA in grado di indicare quanto velocemente le cellule del nostro corpo stanno invecchiando.

Dall’analisi è emerso che chi aveva incubi almeno una volta alla settimana mostrava segni di invecchiamento biologico più rapido rispetto alla media. In altre parole, il loro organismo sembrava “più vecchio” dell’età anagrafica.

Il collegamento tra incubi e sallute

I ricercatori hanno calcolato che circa il 40% della relazione tra incubi e salute dipende proprio da questo processo di invecchiamento cellulare accelerato. «Il cervello addormentato non distingue i sogni dalla realtà», ha spiegato il neurologo Abidemi Otaiku, autore principale dello studio. «Durante un incubo si attiva la stessa risposta di allarme che sperimentiamo da svegli: aumenta il battito, sale la pressione, il corpo rilascia cortisolo, l’ormone dello stress. Se questa reazione si ripete spesso, può influenzare il modo in cui il nostro organismo invecchia».

Secondo gli autori, la frequenza degli incubi è risultata un indicatore molto forte dello stato di salute generale: una sorta di spia biologica capace di segnalare, prima di altri sintomi evidenti, un possibile squilibrio nei meccanismi di adattamento allo stress e nel recupero durante il sonno.

Un rischio che va oltre il sonno 

Oltre ai segni di invecchiamento accelerato, la ricerca ha evidenziato anche un dato di rilievo sul piano epidemiologico. Gli adulti che riferivano incubi almeno una volta alla settimana presentavano infatti un rischio di morte prematura, prima dei 70 anni, circa tre volte superiore rispetto a chi non ne soffriva in modo regolare.

Un’associazione che è rimasta significativa anche dopo aver corretto i risultati per altri fattori noti di rischio, come fumo, obesità, inattività fisica o la presenza di disturbi mentali diagnosticati.

Gli autori precisano che si tratta di una correlazione osservazionale: gli incubi non causano direttamente la morte precoce, ma potrebbero rappresentare un marcatore biologico di alterazioni già presenti nell’organismo.

«Gli incubi ricorrenti potrebbero riflettere un cervello e un corpo esposti a livelli cronici di stress o infiammazione», spiega ancora Otaiku. «In questo senso, possono essere considerati un segnale precoce di vulnerabilità biologica, piuttosto che una causa diretta di malattia».

Secondo l’analisi, la frequenza degli incubi si è dimostrata un predittore di salute più incisivo del fumo o dell’obesità, due dei principali fattori associati a mortalità precoce.

Il meccanismo ipotizzato è complesso: da un lato, gli incubi alterano la qualità del sonno e innescano una risposta fisiologica di allerta, aumento di cortisolo, battito cardiaco e pressione arteriosa che, se ripetuta nel tempo, può compromettere i normali processi di riparazione cellulare; dall’altro, gli incubi possono essere un sintomo secondario di disturbi neurologici o psichiatrici che già incidono sulla salute generale.

Cosa succede nel cervello quando facciamo un incubo

Gli incubi nascono nelle fasi più profonde del sonno, in particolare durante la fase REM (Rapid Eye Movement), quella in cui il cervello è attivo quasi quanto da svegli e in cui si concentrano i sogni più vividi.

In questo stadio, le aree cerebrali che regolano le emozioni, come l’amigdala e l’ippocampo, lavorano in modo intenso, mentre la corteccia prefrontale, responsabile del pensiero razionale e del controllo emotivo, tende a ridurre la propria attività. È questa combinazione che spiega perché i sogni possono sembrare così realistici e travolgenti, ma anche perché durante un incubo prevalgono paura e impotenza.

Normalmente, i sogni, anche quelli spiacevoli, hanno una funzione “di pulizia emotiva”: servono a elaborare le esperienze stressanti della giornata, riducendone l’impatto sul cervello.

Quando però il sistema che regola le emozioni non riesce a “disinnescare” lo stress accumulato, l’attività REM si altera: i sogni diventano più intensi e ansiogeni e l’incubo si trasforma in una sorta di ripetizione emotiva di ciò che spaventa o preoccupa.

Diversi studi hanno mostrato che chi soffre di incubi frequenti presenta un’attività più elevata dell’amigdala e un livello cronico di cortisolo più alto anche durante il giorno. Questo indica che il corpo resta in una condizione di allerta costante, come se non riuscisse mai a “staccare”.

Nel lungo periodo, questa iperattivazione può influenzare il sistema cardiovascolare, immunitario e metabolico, contribuendo, come suggerisce lo studio dell’Imperial College, a un invecchiamento biologico più rapido.

Perché alcune persone fanno più incubi di altre

La tendenza a fare incubi non è solo questione di stress o immaginazione. Gli studi di neuroscienze mostrano che alcune persone hanno un cervello più reattivo alle emozioni anche durante il sonno, soprattutto nella fase REM, quella in cui sogniamo più intensamente.

In chi fa incubi frequenti, l’amigdala, la struttura che elabora paura e allarme, resta molto attiva anche mentre dorme, mentre la corteccia prefrontale, che da svegli aiuta a controllare le emozioni, riduce la sua funzione. È come se, nel sonno, la parte del cervello che prova paura restasse accesa mentre quella che la razionalizza si spegnesse: da qui l’esplosione di sogni angosciosi.

Questa maggiore sensibilità emotiva ha anche una base genetica. Alcune persone possiedono piccole variazioni del DNA, chiamate polimorfismi, che modificano il modo in cui il cervello utilizza le sostanze chimiche che regolano l’umore e il sonno.
Due di queste sostanze, la serotonina e la dopamina, sono fondamentali per mantenere stabile l’equilibrio emotivo.

Il ruolo della genetica

Ad esempio, una variante del gene che regola il trasporto della serotonina (chiamata 5-HTTLPR) è stata collegata a una maggiore sensibilità allo stress: chi la possiede tende a reagire in modo più intenso alle emozioni negative, anche nel sonno.
Allo stesso modo, alcune varianti dei geni che controllano la dopamina, un neurotrasmettitore legato alla motivazione e al piacere, sembrano associate a sogni più vividi e a una maggiore capacità di ricordarli al risveglio.

In termini semplici, il cervello di chi fa incubi più spesso rimane più attivo e meno “filtrato” durante la notte. Questa predisposizione biologica non determina da sola la comparsa degli incubi, ma rende l’individuo più vulnerabile: basta un periodo di stress, un trauma, una riduzione del sonno o l’assunzione di alcuni farmaci per alterare ulteriormente l’equilibrio chimico e rendere i sogni più intensi e disturbanti.

In altre parole, la genetica fornisce il terreno, ma è l’ambiente, fatto di esperienze, abitudini e stress quotidiani, a decidere se quel terreno si trasformerà in un campo di sogni tranquilli o di incubi ricorrenti.

Quanto conta l’ambiente

Questa predisposizione biologica, però, non agisce da sola.

Fattori ambientali come stress, traumi psicologici, privazione di sonno, uso di farmaci o consumo di alcol possono amplificare la probabilità di incubi, perché alterano i livelli di serotonina e dopamina e interferiscono con l’equilibrio delle fasi del sonno.

In altre parole, la genetica fornisce il terreno, ma è l’ambiente, la qualità della vita, dello stress e del riposo, a decidere quanto quel terreno diventerà fertile per i sogni angoscianti.

Il loop dello stress onirico

Per la scienza del sonno, gli incubi non sono più considerati semplici prodotti della fantasia, ma un indicatore fisiologico dello stato di tensione dell’organismo.
Quando il cervello è esposto a stress cronico o a un sovraccarico emotivo, il sistema che regola il sonno e quello che regola la risposta allo stress finiscono per sovrapporsi.

Nel linguaggio della neurofisiologia, significa che l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, lo stesso che produce cortisolo e adrenalina durante il giorno, rimane attivo anche di notte, interferendo con i cicli naturali del riposo. In pratica, il corpo “non stacca mai la spina”: il cuore resta leggermente accelerato, la pressione sanguigna non si abbassa come dovrebbe, e il cervello interpreta questo stato di allerta come una minaccia da elaborare.

Durante la fase REM, in cui normalmente si consolidano i ricordi e si modulano le emozioni, questa condizione si traduce in sogni di contenuto negativo o persecutorio.

L’impatto sulla stanchezza cronica

Ogni incubo diventa quindi la manifestazione onirica di una tensione che non trova altra via di sfogo. Ma il processo è circolare. Gli incubi notturni peggiorano la qualità complessiva del sonno, rendendolo più frammentato e meno rigenerante; ciò aumenta la vulnerabilità allo stress nelle ore di veglia, innescando un nuovo ciclo di iperattivazione del sistema nervoso autonomo.

Nel tempo, questo meccanismo di retroazione può contribuire a stanchezza cronica, irritabilità e difficoltà di concentrazione, ma anche a un indebolimento delle difese immunitarie e a un incremento dei marker infiammatori. Da qui nasce quello che gli studiosi definisconoloop dello stress onirico”: uno scambio continuo tra stress diurno e disturbi notturni, in cui ciascuno alimenta l’altro. Gli incubi peggiorano la qualità del sonno, frammentandolo e riducendo le ore di riposo rigenerativo; la mancanza di sonno, a sua volta, rende il cervello più vulnerabile agli stimoli stressanti, amplificando l’attività dei circuiti dell’ansia.

Foto in evidenza di Marta Ortigosa su Unsplash

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