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I sionisti, le minacce, Reggio Emilia: Francesca Albanese si racconta

10 Novembre 2025 - 07:29 Alessandro D’Amato
francesca albanese gaza genocidio
francesca albanese gaza genocidio
L'inviata Onu sotto sanzioni: «Sono la prima funzionaria nella storia delle Nazioni Unite a subire un simile trattamento, che condivido con Putin, Khamenei e Maduro»

Francesca Albanese ha scritto il libro Inside. Dentro la violenza di Israele (Fuori Scena). Lo ha fatto per «rimettere al centro della discussione il mio lavoro. Non importa che non mi sopportino per il colore dei capelli o per i miei occhiali. Ma la character assassination non può sovrastare i miei contenuti». E in un’intervista a Francesco Battistini per il Corriere della Sera ammette di aver sbagliato a dire “ti perdono” al sindaco di Reggio Emilia Marco Massari che aveva citato gli ostaggi di Hamas. Oggi Albanese è sotto sanzioni: «Sono la prima funzionaria nella storia delle Nazioni Unite a subire un simile trattamento, che condivido con Putin, Khamenei e Maduro. E che mi viene riservato perché collaboro con la Corte penale internazionale. La verità è che ho denunciato le violazioni dei diritti umani compiute da Israele».

Francesca Albanese e Israele

Sulla parola genocidio usata a proposito di Gaza, Albanese dice che «il problema è proprio la scelta delle parole che si usano. Dopo tre anni in Palestina, sono andata via nauseata. Non riuscivo più a vivere in quel posto. Ed è l’apartheid a spiegare oggi, dal punto di vista giuridico, quel mio sentimento d’allora: c’è un sistema strutturale di dominio da parte di un gruppo su un altro. Lo stesso vale per il genocidio. Non c’è tregua che possa interromperlo. E il problema non è usare parole “compromesse”: è di chi non guarda la realtà».

Reggio Emilia

Sulla storia del marito consigliere dell’Anp spiega: «No, lui ha lavorato sei mesi per l’Onu in Palestina. L’Onu fa questo: se va in Congo, aiuta le autorità congolesi. Qual è il problema? Io stessa ho lavorato a stretto contatto con l’Anp». Su Reggio Emilia dice: «Quando ho rivisto quel mio commento, me lo son detta: no, non è proprio da me». Nei suoi rapporti, la parola “genocidio” torna 233 volte. Mentre Hamas è definita terrorista solo 16 volte. E quasi sempre fra virgolette. «Parlare di Hamas avrebbe alterato la condotta delle operazioni militari di Israele? Non c’è dubbio che ci sia stato un attacco terroristico violento, da condannare. Però Israele cosa cavolo fa da 60 anni, nel territorio palestinese occupato? Il mio libro comincia con una frase di Brecht: “Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono”».

Minacce di morte e di stupro

Adesso vive con la paura: «La pressione è molto forte. Nel 2024, sono cominciate le minacce di morte, lettere in cui dicevano “sappiamo dove vivi”, minacce di stupro verso mia figlia: “Le faremo quel che han fatto alle donne israeliane”. Lì, è partita l’esigenza d’avere protezione dove vivo, in Tunisia». Ora le hanno congelato i beni «Negli Usa ho chiuso il conto, ma nell’appartamento dov’è nata mia figlia, né io né mio marito possiamo tornarci, nonostante lui lavori per la Banca Mondiale che ha sede a Washington: c’è anche una persecuzione, affinché sia licenziato. E pene pecuniarie fino a un miliardo, o l’arresto fino a 20 anni, per chiunque mi aiuti. Non posso fare pagamenti, né riceverne. In nessun angolo del mondo».

La Palestina e i giovani

Secondo lei dopo la tregua la situazione non tornerà come prima: «L’enormità di ciò che è successo è tale, che non si può tornare indietro. S’è svegliata una coscienza, soprattutto fra i giovani. Mi occupo di Palestina da 15 anni e mai ho visto questo livello di maturità: sul genocidio in Ruanda o in Bosnia, non ci fu questa presa di coscienza. Il fatto che uno come Mamdani vinca a New York, peraltro coi voti ebraici, è un segno di cambiamento. Però dipende. I governi potrebbero continuare a far finta di niente. Parlano di pace, ma dall’inizio della cosiddetta tregua sono morti 250 palestinesi».

I sionisti

Quando Battistini le chiede se ci sia un leader israeliano che stima, risponde così: «Rabin è stato feroce nei confronti dei palestinesi e poi ha capito che non si può vivere opprimendo il prossimo. So che tanti israeliani sionisti vogliono la fine dell’occupazione e dell’apartheid. Il problema del sionista è che per lui il problema è al massimo l’occupazione del ’67 e com’è degenerata. Per un antisionista, il problema è l’esistenza d’Israele come Stato di apartheid all’interno di un Paese che si chiamava Palestina».

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