«Quando ha soffocato il piccolo Mattia, non era capace di intendere e di volere». Monia Bortolotti assolta dall’accusa di aver ucciso due figli neonati

Non dovrà andare in carcere Monia Bortolotti, la 29enne accusata di aver soffocato e ucciso i due figli di 4 e 2 mesi a distanza di un anno l’uno dall’altro. Secondo la Corte d’Assise di Bergamo, mentre per il decesso della primogenita Alice non ci sono sufficienti prove per definirlo omicidio volontario, la donna non sarebbe stata capace di intendere e di volere quando ha causato la morte del piccolo Mattia. Dopo una lunga battaglia tra pubblica accusa e pool difensivo, portata avanti a suon di perizie psichiatriche, i giudici hanno dato ragione proprio ai consulenti della difesa. In primo grado viene dunque dato valore all’ipotesi di totale vizio di mente per la giovane donna, originaria dell’India ma adottata da una famiglia di Gazzaniga, nella Bergamasca. La 29enne dovrà rimanere per i prossimi 10 anni nella Rems di Castiglione delle Stiviere.
La morte sospetta di Mattia e la registrazione degli ultimi battiti
Era il 25 ottobre 2022 quando Mattia, di due mesi, era deceduto quando si trovava in casa da solo con la madre. Pochi giorni prima il piccolo era stato dimesso dopo un mese di ricovero in ospedale per difficoltà respiratorie. Dato che un anno prima, più precisamente il 15 novembre 2021, la sorellina maggiore era deceduta a soli 4 mesi, i medici avevano deciso di impiantargli un loop recorder. Il piccolo dispositivo permetteva all’equipe medica di monitorare in tempo reale il battito cardiaco, in modo tale da ottenere un tracciamento continuo e notare patologie che in un primo momento non erano emerse. Proprio quel loop recorder ha registrato gli ultimi attimi di vita di Mattia: un’accelerazione improvvisa dei battiti, un rallentamento poi più nulla.
Il racconto di Monia Bortolotti e le analisi sulla salma della primogenita
Monia Bortolotti aveva raccontato agli inquirenti di aver trovato nel lettino il corpo del suo secondogenito quando ormai era deceduto. Lo avrebbe poi preso in braccio, stringendolo forte, e avrebbe chiamato il 118. Mentre l’operatore al telefono tentava di guidarla nelle manovre di rianimazione però, almeno secondo la tesi dell’accusa, la donna stava solo fingendo di praticarle. A partire da questo decesso, gli inquirenti si erano insospettiti e avevano deciso di riesumare la salma della piccola Alice. All’epoca, i medici avevano spiegato la morte della bambina come soffocamento da rigurgito, dato che avevano trovato del latte nella trachea. Quando gli inquirenti si sono ritrovati di fronte al corpicino riesumato, non è però stato possibile svolgere alcun accertamento dato che la salma era troppo deteriorata.
La battaglia di perizie e la sentenza dei giudici
Durante il procedimento, la difesa si è battuta per il riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere della donna. Una perizia di parte e la stessa analisi dei consulenti nominati dai giudici portavano in quella direzione. Una perizia della procura, però, sosteneva che la 29enne fosse «lucida e consapevole». E così anche le valutazioni psichiatriche portate avanti dai medici della Rems, di una clinica bresciana e dell’ospedale bergamasco Papa Giovanni XXIII. I giudici hanno deciso di assolvere Monia per non aver commesso il fatto riguardo all’omicidio della piccola Alice, non essendoci sufficienti prove, e l’hanno riconosciuta incapace di intendere e di volere per quello di Mattia. Pur non essendo imputabile, la donna dovrà rimanere per i prossimi dieci anni nella Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
