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Il Trump di Santiago o la ministra comunista? Il Cile al bivio dopo Boric. Così le gang criminali possono spianare la strada a José Antonio Kast

16 Novembre 2025 - 07:00 Simone Disegni
Jose Antonio Kast Cile
Jose Antonio Kast Cile
Oggi il primo turno delle presidenziali: il leader di destra potrebbe andare al ballottaggio contro Jeannette Jara. Cosa propongono e cosa dicono i sondaggi

Quattro anni dopo la grande onda di sinistra che ha portato al potere l’allora 35enne Gabriel Boric il Cile lo punirà eleggendo a suo successore un Donald Trump in salsa sudamericana? È quello che prefigurano molti sondaggi in vista del voto che si apre oggi. Domenica 16 novembre si svolgono le elezioni per il rinnovo del Congresso (Parlamento) di Santiago, e soprattutto il primo turno delle presidenziali, cui Boric non può ricandidarsi. Se, come probabile, nessuno dei candidati raccoglierà subito la maggioranza assoluta dei voti, la corsa si deciderà al ballottaggio tra un mese, il 14 dicembre.

E per la sinistra – anzi, le sinistre – del Paese quel giorno potrebbe arrivare una delusione cocente. Perché tutti i sondaggi danno in vantaggio al primo turno la candidata del fronte progressista, la ministra del Lavoro uscente del Partito comunista Jeannette Jara. Ma al secondo turno dei quattro diversi candidati di destra ne avanzerà solo uno, e la somma dei voti che questi riuscirà a coagulare potrebbe rivelarsi vincente. Molti indizi fanno pensare che costui sarà José Antonio Kast, il fondatore del Partito repubblicano già candidatosi due volte (senza successo) alla guida del Paese e che non fa mistero di voler importare in Cile il modello applicato da Trump in Nordamerica. Anche perché nel frattempo le priorità dei cittadini sono cambiate.

La stella cadente di Boric

Già leader studentesco, Gabriel Boric vinse nel dicembre 2021 sull’onda del cosiddetto Estallido Social, la serie dirompente di manifestazioni contro il carovita, la corruzione e le politiche liberiste che elettrizzò il Cile tra il 2019 e il 2020. Il governo dell’allora presidente Sebastián Piñera (morto lo scorso anno in un incidente d’elicottero) rispose con durezza, e nella repressione di polizia morirono 36 persone. Poi però Piñera cambiò strategia e accettò di fare un passo in avanti verso i contestatori avviando un processo di riforma della Costituzione, ferma ai tempi della feroce dittatura di Augusto Pinochet (1974-1990).

Boric trionfò alle elezioni di fine 2021, battendo Kast al ballottaggio (55,9% contro 44,1%) e portando nella «stanza dei bottoni» del Paese l’agenda sociale al cuore delle proteste: lotta alla corruzione, riforma delle pensioni, condizioni più degne per le popolazioni indigene, più fondi per garantire educazione e salute di qualità alle fasce più povere. Ciliegina sulla torta, appunto, una nuova Costituzione degna del «nuovo» Cile democratico.

Il bilancio della presidenza

Quattro anni dopo, il bilancio per Boric è magro. Le grande riforme, complice un Parlamento frammentato, non sono mai decollate – anche se i fondamentali socio-economici del Paese sono migliorati: crescita stabilmente sopra al 2%, inflazione giù dal 12,8% nel 2022 al 4,5% nel 2024, tasso di disoccupazione ridotto all’8,6%, salario minimo aumentato del 51%. E il processo di riforma della Costituzione è clamorosamente fallito: due diverse bozze elaborate da convenzioni costituenti e sottoposte a referendum a settembre 2022 e dicembre 2023 sono state entrambe bocciate. La disillusione collettiva è resa plasticamente dai numeri del (non) consenso: Boric chiude il suo mandato con un tasso di approvazione deprimente attorno al 30%, il governo a lui fedele poco di più.

Il presidente uscente del Cile in una recente visita in Italia – Roma, 15 ottobre 2025 (Ansa/A. Carconi)

Criminalità e immigrazione, così le gang scuotono il Cile

Dai sondaggi degli ultimi mesi emerge pure un altro dato fondamentale che spiega in buona parte il precedente: le priorità dei clieni sono cambiate. Se quattro anni fa molta dell’attenzione era sui temi sociali e del costo della vita, ora a la preoccupazione numero 1 dei cittadini è di gran lunga la criminalità (63%). Il Cile, ricorda Reuters, resta in realtà uno dei Paesi più sicuri dell’America latina, però negli ultimi anni il Paese è stato travolto da fenomeni prima sconosciuti o quasi.

Il tasso di omicidi è più che raddoppiato tra il 2015 e il 2024 (da 2,32 a 6 ogni 100mila abitanti), i rapimenti si contano a centinaia, così come le sparatorie e esecuzioni in pieno giorno, magari per mano di temibili sicari – specialmente in alcune zone del Paese. Nel frattempo è esploso il flusso migratorio di venezuelani dal confine nord – da meno di 83mila nel 2017 a quasi 670mila nel 2024 secondo dati ufficiali. Il trait d’union tra i due fenomeni nuovi e scioccanti per i cileni secondo molti sta nel ruolo giocato da gang criminali straniere come la famigerata Tren de Aragua, che traffica sempre più anche in Cile con migranti, appunto, e droga. Terrorizzando le popolazioni delle zone interessate pure con estorsioni, sequestri, rapine, violenze e intimidazioni. Inevitabile, come altrove nel mondo, che su preoccupazioni del genere la destra prosperi, e la sinistra vada in difficoltà.

La candidata della coalizione Unidad por Chile Jeannette Jara – Santiago, 14 ottobre 2025 (Epa/E. Gonzlaez)

L’opzione comunista

Jeannette Jara, 51 anni, ministra uscente del Lavoro e delle politiche sociali, è partita prima di tutti nella corsa alla successione di Boric perché ha vinto le primarie che il fronte progressista cileno ha tenuto a fine giugno. Militante nel partito comunista cileno sin dall’adolescenza, ha provato a rilanciare il messaggio sociale che scosse il Paese negli scorsi anni. «Sono stata una bambina proveniente da un contesto povero. Voglio dire a tutte le bambine che mi stanno guardando oggi in televisione: non permettete a nessuno di dirvi che i vostri sogni sono impossibili», ha detto la sera della vittoria alle primarie.

Oltre a promettere di aumentare cose come il salario minimo e i diritti dei lavoratori, ha messo l’accento però anche sul tema della sicurezza, impegnandosi a costruire nuove prigioni, modernizzare la polizia e abolire le norme sul segreto bancario che agevolerebbero il business delle gang criminali. La proposta politica il suo appeal ce l’ha eccome. Nei sondaggi è data in testa al primo turno delle presidenziali, con numeri che oscillano tra il 26 e il 30%. Lungi dalla maggioranza assoluta, Jara al secondo turno dovrà vedersela con uno sfidante di destra. Chi? Ai blocchi di partenza se ne presentano quattro, ma i due più accreditati sono José Antonio Kast e Evelyn Matthei.

La battaglia della vita di Kast

Avvocato, 59 anni, Kast è figlio di un tenente dell’esercito tedesco di Adolf Hitler fuggito in Cile dopo la guerra. Entrato in Parlamento per la prima volta nel 2002, da anni ormai prova a intercettare l’onda nazional-populista di successo in tanti altri Paesi del mondo, compresi alcuni del Sudamerica. I due primi tentativi di arrivare alla presidenza del Cile gli sono andati male, però. Anche per questo, forse, nel 2025 ha abbandonato temi cavalcati in precedenti campagne come gli attacchi all’aborto o ai matrimoni omosessuali, per concentrarsi praticamente solo sulla sfida della sicurezza.

Propone di chiudere i confini del Cile, mandare l’esercito nelle zone più colpite dalla criminalità, alzare le pene per i membri delle gang e costruire prigioni di massima sicurezza. Legge e ordine, insomma – alla stregua di Trump negli Usa o di Nayib Bukele a El Salvador.

Affollamento a destra

Evelyn Matthei prova a contendergli la “fiche” per arrivare al ballottaggio presentandosi come leader di centrodestra più moderata e facendo leva sulla sua esperienza di governo – è già stata oltre che deputata sindaca e ministra. Anche lei tra le “esperienze” nel cv ha però quella di un’elezione presidenziale già persa, quella del 2013 contro Michelle Bachelet. Partita davanti, Matthei s’è vista superare a destra da Kast. Il leader di estrema destra, forte di una campagna studiata per molti versi su quella del presidente Usa, oscilla negli ultimi sondaggi tra il 22 e il 27% al primo turno, abbastanza per consentirgli di arrivare al ballottaggio e giocarsela contro Jara. A quel punto dovrà «solo» riuscire a raccogliere il consenso calamitato al primo turno dagli altri candidati di destra: Matthei, ma pure l’altro populista libertario Johannes Kasier e l’economista Franco Parisi.

Le proiezioni dei sondaggisti dicono che Kast ha buone chances di farcela e diventare così il prossimo presidente del Cile. Magari sventolando lo spettro del pericolo alternativo di una presidente comunista, che governerebbe in totale continuità con lo screditato Boric. Trump, nel dubbio, inizierà ad appuntarsi il suo numero di telefono.

Gli otto candidati alla presidenza del Cile prima dell’ultimo dibattito tv. Da sinistra: Franco Parisi, Jeannette Jara, Marco Enriquez-Ominami, Johannes Kaiser, Jose Antonio Kast, Eduardo Artes, Evelyn Matthei, Harold Mayne-Nicholls – Santiago, 10 novembre 2025 (Epa/E. Gonzalez)

Foto di copertina: Il leader del Partito repubblicano Jose Antonio Kast a un comizio della campagna elettorale per la presidenza del Cile – Santiago, 11 novembre 2025 (EPA/Ailen Diaz)

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