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L’allarme di Crosetto: «L’Italia è già in guerra, 5mila hacker per l’Esercito o la Russia ci porterà al collasso»

18 Novembre 2025 - 15:43 Simone Disegni
Il ministro della Difesa denuncia le "bombe ibride" lanciate ogni giorno da Mosca e non solo: «Banche o ospedali possono andare in tilt». Ma è giallo sui numeri dell'Arma Cyber

«È in atto una guerra continua che ci minaccia senza sosta, giorno e notte. Gli obiettivi sono le nostre infrastrutture critiche, i centri decisionali, i servizi essenziali, le strutture commerciali, le nostre industrie, le catene di approvvigionamento, il patrimonio cognitivo delle nostre popolazioni, e, in ultima analisi, la tenuta complessiva del Paese». Lo scrive il ministro della Difesa Guido Crosetto nel rapporto sul contrasto alla guerra ibrida pubblicato oggi dal ministero della Difesa. L’Italia e l’Europa, dice insomma Crosetto nel “non-paper” firmato di suo pugno, sono già in guerra – anche se di tipo non convenzionale. La domanda è solo se e quando i suoi cittadini ne assumeranno la piena consapevolezza, di modo da rispondere adeguatamente. Qual è la guerra che l’Italia sta già combattendo – o meglio, subendo? Quella che si combatte in primis sul terreno della cybersicurezza e della disinformazione, minacciando di provocare ogni giorno danni «catastrofici» alle infrastrutture del Paese – banche, imprese, ospedali, amministrazione pubblica – e di inquinare le menti. «Le “bombe” ibride continuano a cadere mentre scrivo», scolpisce Crosetto nella conclusione del rapporto, che oltre che da informativa alle Camere e documento strategico per le azioni pubbliche vuole fungere evidentemente da «sveglia» a un’opinione pubblica disorientata e distratta sulla guerra non convenzionale.

La guerra sporca di Putin (e non solo) all’Europa

La cosa più preoccupante, spiega il ministro della Difesa che studia da tempo con attenzione la sfida, è che la guerra ibrida è subdola, invisibile, dunque paradossalmente più pericolosa. Perché rischia di mettere a terra una democrazia come l’Italia senza che questa si sia neppure resa conto di essere sotto attacco. «La guerra ibrida non mira a trionfo immediato, ma a logoramento costante»; «la varietà di questi attacchi è impressionante: fake news , ferrovie sabotate, cavi tranciati, pressione migratoria, elezioni annullate…». Ma chi c’è dietro questa “strategia della tensione 2.0” contro le nostre società? La platea di attori malevoli è ampia, e non sempre legata ad attori statuali. Tra questi, s’annoverano sicuramente autocrazie come Cina, Iran e Corea del Nord. Ma non c’è dubbio che il protagonista n° 1 della guerra ibrida all’Ue sia la Russia di Vladimir Putin. Cui non a caso nel rapporto è dedicato un capitolo ad hoc sul case study della guerra d’Ucraina usata dal Cremlino come “palestra” di attacchi multiformi anche più a Ovest. Qui Crosetto si trincera in parte dietro ai condizionali, attribuendo le accuse alle valutazioni di «numerosi analisti», ma la sostanza è cruda: «La Federazione Russa avrebbe adottato un approccio sistemico e spregiudicato, fondato sull’impiego integrato di strumenti militari e non militari, con l’obiettivo di destabilizzare i suoi competitor, eroderne la coesione interna e influenzarne la volontà politica. La leadership russa parrebbe disposta a impiegare ogni strumento – dalla propaganda disinformativa agli attacchi informatici fino alle pressioni economiche – pur di indebolire la resilienza dei Paesi occidentali. Ciò si realizza tramite campagne di manipolazione delle opinioni pubbliche, disinformazione – oramai vera e propria guerra cognitiva – pressione economica e sabotaggi, sfruttando le vulnerabilità normative e istituzionali degli Stati democratici. Questi strumenti non mirano soltanto a produrre effetti diretti nei domini fisici tradizionali, ma agiscono indirettamente sulle convinzioni, sulla capacità di resistenza, sulla sovranità decisionale e sulla stabilità politica degli Stati. In pratica, mirano alla testa e al cuore della società, non solo agli obiettivi militari».

Il ventre molle d’Italia (e d’Europa)

Affinate le tecniche e gli strumenti, spesso ricorrendo ad attori in grado di non lasciare tracce e comunque di non essere riconducibili direttamente al Cremlino, la Russia ha acquisito negli ultimi anni una spregiudicatezza crescente. Anche perché ha capito di aver trovato il ventre molle su cui colpire. «Per la Russia, operare nella cosiddetta “zona grigia” sembrerebbe essere ormai una prassi consolidata, continua e destinata ad espandersi, che consente di danneggiare sempre più significativamente l’Occidente, anche in assenza di uno stato di guerra dichiarato. Al contrario, molti Paesi occidentali faticano a gestire politicamente e operativamente tali situazioni, vincolati da una visione binaria del conflitto che distingue rigidamente pace e guerra, e da una cultura strategica che privilegia la reazione all’azione. In altre parole, rischiamo di restare imbrigliati nelle nostre regole». È ora di svegliarsi, manda a dire insomma all’opinione pubblica Crosetto: «Occorrono decisioni coraggiose – in primo luogo politiche, poi operative – e riforme da attuare sfruttando l’unico aspetto non tragico che il conflitto in Ucraina ha portato con sé: la ritrovata percezione condivisa del pericolo e una maggiore coesione tra i Paesi europei». Quali azioni raccomanda dunque in concreto Crosetto? Oltre al sostegno ad iniziative europee già operative o in rampa di lancio – ultima in ordine di tempo l’istituzione di un Centro europeo per il contrasto alla guerra ibrida – il ministro invita l’Ue ad abbandonare altre ingenuità e giocare sullo stesso campo di Russia ma anche Cina in aree geografiche strategiche come Balcani o Sahel, dove è in atto – dice – una vera e propria guerra cognitiva e d’influenza politico-culturale. E poi, ovviamente, c’è il fronte interno, su cui Crosetto può muovere in autonomia (o quasi…) le proprie pedine.

Gli hacker di Stato per la guerra 2.0

La prima difesa dell’Italia sta nell’esercito, e questo deve quindi evolvere rapidamente in modo da parare i colpi ibridi nei nemici, va dicendo da tempo Crosetto. Ora il rapporto fa capire più in dettaglio come. L’Italia dovrà necessariamente sviluppare «specifiche capacità militari nel dominio cyber e negli ambienti informativo e cognitivo». Su questa base, andrà costituita una divisione dell’esercito in grado di combattere una guerra non convenzionale del tipo descritto. Cyber Work-Force, è il nome indicato. Di quanto uomini dovrà essere composta? Qui, complici forse le ristrettezze di bilancio, sembrano esserci ad ora più sogni che certezze. Crosetto parla della necessità di un «significativo potenziamento degli organici militari, anche dell’ordine di 10/15 mila unità, dedicati ai settori cyber, spettro elettromagnetico e nuove tecnologie». Poi però ammette che «mentre proseguono gli approfondimenti tecnici e il confronto con i Paesi amici e alleati, si può ritenere che una forza realmente congrua e rassicurante debba attestarsi su almeno 5.000 unità, con una prevalente componente operativa. Prima di abbassare ulteriormente le ambizioni puntando «in termini più realistici» a «un primo obiettivo» che «può consistere nella creazione di una capacità iniziale di 1.200–1.500 unità, di cui circa il 75% dedicato a compiti operativi, così da garantire continuità d’azione h24, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno». A rafforzare questa divisione di “anti-hacker di Stato” incorporati nell’esercito dovrà essere infine una «Riserva Cyber della Difesa articolata in due componenti: una riserva operativa, costituita da personale con pregressa esperienza tecnico-operativa in ambito difesa, e una riserva di volontari civili, in grado di offrire contributi aggiuntivi di natura tecnica, strategica o accademica». Solo in questo modo, teorizza Crosetto, si potrà passare dall’approccio “contenitivo” a quello “proattivo”, unico in grado di proteggere Italia ed Europa dalle “bombe ibride” che rischiano di metterle diversamente, presto o tardi, in ginocchio.

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