Consenso libero, Meloni: «La norma si farà, nessuno scambio di voti». E avverte Schlein: «Non usatela contro di me»

Non è uno stop politico quello che ha impedito la ratifica al Senato del nuovo articolo 609-bis del codice penale, che dovrebbe fissare il consenso prima e durante un rapporto sessuale come «pieno, libero, esplicito e attuale». Dietro le quinte, la premier Giorgia Meloni ha rassicurato il Pd sul fatto che «la norma si farà». Bisogna solo avere un po’ di pazienza e lasciare che, nelle prossime settimane, gli addetti ai lavori trovino una formulazione convincente per mettere definitivamente ordine in una materia che finora di ordinato e univoco ha avuto ben poco. Un percorso che, «per il bene del Paese», il governo vuole portare avanti a braccetto con le opposizioni verso lo stesso traguardo. A patto che, avrebbe fatto intendere la presidente del Consiglio, la norma e la sua elaborazione non siano «strumentalizzate contro di me».
Le priorità di Meloni: «Norma scritta bene, e nessun voto di scambio»
A rivelare i retroscena, spegnendo le fiamme di protesta che nelle ultime ore avevano incendiato le opposizioni, è Paola Di Caro su Corriere. La parola d’ordine per Giorgia Meloni è «scrivere la norma bene», con l’obiettivo di evitare ancora più confusione di quanta ce ne sia già ora. Ma è importante per la premier anche assicurare che tra lei stessa e la segretaria del Pd Elly Schlein non ci sia mai stato un accordo di «scambio» di voti, con il centrosinistra che avrebbe votato a favore del ddl femminicidio – approvato nella data simbolica del 25 novembre, Giornata contro la violenza sulle donne – e il centrodestra che avrebbe spalancato le porte alla legge sul consenso «esplicito e attuale».
Una dinamica che martedì non si è concretizzata ed è anzi andata ad arenarsi. E che, stando alla premier, è assolutamente inesistente: sarebbe assurdo «scambiarsi» voti su due leggi ritenute corrette e giuste da entrambe le parti.
I dubbi degli addetti ai lavori: «Testo ostico, dobbiamo lavorarci»
Sabato pomeriggio, 48 ore prima del voto in Aula, Schlein e Meloni si sono sentite al telefono confermando il sostegno al ddl femminicidio e confrontandosi riguardo alla norma sul consenso. Su quest’ultima la premier ha poi consultato Carolina Varchi, la presidente della commissione Giustizia al Senato Giulia Bongiorno e la ministra per le Pari opportunità Eugenia Roccella. Il messaggio ricevuto, soprattutto da Varchi, è stato chiaro: «Il testo è ostico, ma possiamo lavorarci».
Nel frattempo, però, sia dalla maggioranza che dalle «numerose telefonate» ricevute da avvocati e magistrati, stavano emergendo molti dubbi. Non sul contenuto formale della legge, che rimane indiscutibile, ma sulla delicatezza della sua stesura. Dubbi che sia Roccella che Salvini hanno messo nero su bianco: «C’è il rischio di esporre chiunque a chi si vuole vendicare di un rapporto finito male». Ma che per gli addetti ai lavori è più un tema di univocità interpretativa e ingolfamento della aule giudiziarie.
La calma di Meloni: «Opposizioni? Attaccano pure quando la pensiamo come loro»
«Le cose vano fatte per bene, non di corsa o peggio solo perché ci sarebbe sotto un inesistente scambio, che mai ho fatto in politica». Questo il messaggio cristallino lanciato dalla presidente del Consiglio. Calma e sangue freddo, continuando insieme a lavorare.
Anche se in FdI il sospetto è che l’astio dalle opposizioni sia causato non dai rallentamenti ma dal fatto che sia proprio il centrodestra a portare avanti queste due riforme rivolte in primis alle donne: «La vivono come espropriazione. Hanno contestato perfino Nordio, che ha fatto un discorso attaccando il patriarcato come fanno loro. Anche se diciamo le stesse cose che dicono loro veniamo attaccati, come se su certi temi non ci si potesse esprimere perché siamo “reazionari e all’antica”».
Poi, dopo il no del Senato alla norma e le rassicurazione della Lega sull’unità di intenti, il messaggio è stato recapitato anche al Pd: «Agiamo uniti per il bene del Paese, ma la norma va scritta bene».
