L’Ue come Trump: dazi ai Paesi poveri se non si riprenderanno i «loro» migranti. La svolta nei nuovi accordi commerciali

Chi di dazi perisce (o quasi) di dazi ferisce. L’Unione europea ha provato per mesi a sottrarsi alla scure delle tariffe di Donald Trump. Senza successo, come ben sappiamo. A fine luglio dopo estenuanti negoziati la Commissione per conto dei 27 ha dovuto piegarsi all’«accordo» che prevede dazi Usa generalizzati del 15% sulla maggior parte dell’export Ue. Non che Trump se la sia presa, se non altro, solo con l’Ue. Dei dazi la Casa Bianca fa uso volentieri per ribilanciare i rapporti commerciali con quasi tutti i Paesi del globo, ma pure per ottenere altri obiettivi di politica estera di ogni genere: si tratti di «forzare» la pace tra Russia e Ucraina, portare a più miti consigli tecnologici la Cina o punire Paesi che non collaborano come si vorrebbe sul fronte del controllo dei flussi migratori. Ora la novità è che quell’approccio ha fatto scuola pure nella vecchia Europa. Lunedì sera infatti i negoziatori di Consiglio (i 27 governi), Commissione e Parlamento europeo hanno trovato l’accordo sulla revisione della politica commerciale Ue verso i Paesi terzi. E nel cosiddetto Schema generalizzato delle preferenze, se l’intesa sarà formalmente varata, dal 1° gennaio 2027 entrerà per la prima volta la minaccia ai Paesi più poveri del mondo di indurire le condizioni di accesso al mercato Ue se non collaboreranno adeguatamente nel «riprendersi» i loro cittadini emigrati illegalmente in Europa.
Gli aiuti allo sviluppo e il nodo delle «riammissioni»
Lo Schema generalizzato delle preferenze (GSP) regola dal 1971 i rapporti dell’Ue – prima, della Comunità europea – con i Paesi più arretrati del mondo in termini di sviluppo economico. Tramite la mano commerciale «morbida», ha rappresentato di fatto per decenni uno strumento di aiuto allo sviluppo di Paesi africani, asiatici o del Pacifico. Lo Schema prevede infatti di garantire un accesso preferenziale – a tariffe zero o molto basse – per un’ampia gamma di beni da esportare in Europa. Ad oggi fanno parte dell’accordo – che scatta automaticamente sulla base dei parametri di sviluppo – 65 Paesi del cosiddetto Sud del mondo. Molti di questi sono Paesi che hanno conosciuto per secoli la scure del colonialismo europeo. Per 36 di questi – dall’Afghanistan al Bangladesh, dal Niger all’Etiopia – è previsto il trattamento più favorevole di tutti, in considerazione del livello di arretratezza: accesso al mercato Ue senza quote né tariffe su tutti i prodotti escluse le armi. Fin troppo evidente però che si tratta degli stessi Paesi da cui arriva una mole rilevante di migranti che tentano con alterne fortune di sbarcare illegalmente in Europa. Da anni le istituzioni Ue discutevano di come intrecciare le due politiche – quella commerciale e quelle di controllo dei flussi migratori. I leader dei 27 governi Ue, ormai dominati dalle destre, chiedevano esplicitamente di legare nel nuovo GSP le preferenze commerciali accordate alla cooperazione fattiva dei Paesi terzi sulla riammissione dei «loro» migranti illegali. Missione compiuta, con l’accordo di ieri sera, anche se l’iter per sospendere i benefici commerciali sarà complesso.
Cosa può cambiare dal 2027
«Come chiesto dal Consiglio europeo, verrà introdotto un nuovo collegamento tra le preferenze commerciali accordate ai Paesi beneficiari e la loro cooperazione su migrazione e riammissione dei loro connazionali presenti in Ue», annuncia il Consiglio Ue. In concreto, continua la nota diffusa, «le preferenze del GSP potranno essere ritirate se il Paese beneficiario non coopera con l’Ue sulla riammissione» delle persone suddette. I governi e le istituzioni Ue sono da tempo profondamente frustrati per il fatto che appena il 20% dei migranti di cui viene disposta l’espulsione lasciano di fatto i Paesi in cui si trovano, anche per via della cooperazione coerente dei Paesi che si vorrebbe li riaccogliessero. A marzo scorso la Commissione ha presentato la sua proposta per l’istituzione di un nuovo e più efficace Sistema europea di espulsioni, e i governi dei 27 chiedono di procedere a tappe forzate. Non è un caso che l’accordo sia arrivato dopo anni di negoziati ora che alla guida del Consiglio Ue c’è per il suo semestre di presidenza la Danimarca, Paese guidato da una leader progressista, Mette Frederiksen, che ha però fatto della lotta dura all’immigrazione illegale uno dei suoi cavalli di battaglia.
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Diritti umani e clima, tutte le nuove condizioni
La nuova condizionalità sulle riammissioni non è comunque l’unica novità dell’accordo, che dovrà essere approvato formalmente da Parlamento europeo e Consiglio per poi entrare in vigore dal 1° gennaio 2027. Viene rafforzato il legame tra le preferenze commerciali e altre condizioni di contesto come il rispetto dei diritti umani, gli standard di lavoro e lo sviluppo sostenibile. Sul fronte delle possibili «sanzioni», inoltre, la possibilità di sospendere i trattamenti preferenziali viene prevista non solo in caso di carente cooperazione sul fronte migratorio, ma anche, per esempio in caso di «violazioni serie e sistematiche dei princìpi delle convenzioni sul cambiamento climatico e la protezione ambientale». Un modo “diagonale” per l’Ue di assicurare insomma l’implementazione degli accordi climatici internazionali, come quello appena siglato alla Cop30 di Belem, in Brasile. E i “dazi” ai Paesi che non accettino di riprendersi i «loro» clandestini potranno essere imposti solo dopo che la Commissione avrà stilato rapporto sulle presunte carenze e informato preventivamente i governi coinvolti, il Consiglio e il Parlamento. Per questo paradossalmente stamattina il Ppe tace ed è invece il gruppo dei socialdemocratici Ue a cantare vittoria. «Grazie agli sforzi costanti dei negoziatori S&D, l’accordo finale assicura» che ogni decisione del genere resti «strettamente una misura da ultima spiaggia, soggetta a chiare salvaguardie e una robusta procedura», in cui il Parlamento europeo avrà «un ruolo più forte di supervisione e accesso a informazioni essenziali».
