Attacco a un asilo in Sudan: almeno 50 morti, 33 sono bambini. Cosa sta succedendo nel Paese

Un nuovo e terribile capitolo della guerra civile in Sudan si è consumato a Kalogi, nello Stato del Kordofan, dove un attacco con droni ha colpito un asilo nido, causando la morte di almeno 50 persone, tra cui 33 bambini. Lo riferisce la Bbc, secondo cui le Forze di Supporto Rapido (Rsf) – il gruppo paramilitare impegnato da più di due anni nel conflitto contro l’esercito sudanese – sono accusate dell’attacco di giovedì dalla Rete dei Medici Sudanesi e dalle stesse forze armate. Le Rsf, dal canto loro, respingono le accuse e ribaltano la responsabilità. Sostengono infatti che l’esercito abbia condotto venerdì un altro attacco con droni nella regione del Darfur, colpendo un mercato e un deposito di carburante nei pressi del valico di Adre, al confine con il Ciad.
Cosa sta succedendo in Sudan?
Il bombardamento di Kalogi arriva in un momento di forte deterioramento della sicurezza in tutto il Kordofan, una ex provincia nel centro del Sudan. Secondo le stime delle Nazioni Unite, dall’inizio di novembre oltre 41 mila persone sono state costrette a fuggire dalle proprie abitazioni, mentre gli attacchi contro civili, scuole e ospedali continuano ad aumentare. La situazione umanitaria è invece ormai allo stremo: la carestia è stata ufficialmente dichiarata a Kadugli (la capitale dello stato sudanese del Kordofan meridionale) e condizioni analoghe sono state registrate a Dilling. I servizi sanitari sono prossimi al collasso, le scorte mediche quasi esaurite e la chiusura delle scuole sta privando migliaia di bambini di un sostegno fondamentale, aggravandone il disagio psicologico.
La guerra civile non si ferma
Il Sudan è lacerato da due anni di guerra tra le Forze armate sudanesi (Saf) del generale Abdel Fattah al-Burhan e i paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (Rsf) guidati da Mohammed Hamdan Dagalo, detto Hemedti. Entrambi gli schieramenti sono accusati di crimini di guerra: attacchi deliberati contro i civili, assedi, ostacoli sistematici all’arrivo degli aiuti umanitari. Il bilancio è devastante: decine di migliaia di morti e oltre 12 milioni di sfollati, la più grave crisi umanitaria della storia del Paese.
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Dopo aver consolidato il controllo sul Darfur, le Rsf avanzano ora nel Kordofan, un’area strategica per gli oleodotti che trasportano il petrolio dal Sud Sudan. Una progressione che preoccupa profondamente la comunità internazionale. Pochi giorni fa l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk, ha denunciato i «feroci combattimenti» in corso, temendo il ripetersi delle atrocità già registrate altrove.
Dal 25 ottobre, la data in cui la città di Bara è caduta nelle mani delle milizie, l’Onu ha contato almeno 269 civili uccisi tra bombardamenti, raid aerei ed esecuzioni sommarie. Le continue interruzioni delle comunicazioni impediscono una stima precisa, ma il numero reale sarebbe molto più alto. Segnalati anche rapimenti, violenze sessuali e reclutamenti forzati, compresi quelli di minori.
La diplomazia (che non c’è)
Sul fronte diplomatico, il 24 novembre le Rsf hanno annunciato un cessate il fuoco unilaterale di tre mesi, dichiarando di voler rispondere agli sforzi internazionali, compreso l’intervento del presidente statunitense Donald Trump e dei mediatori del Quad, il gruppo composto da Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. L’esercito sudanese ha però respinto la proposta di tregua, attirando le critiche degli Emirati Arabi Uniti, accusati a loro volta di sostenere militarmente i paramilitari. Nel Kordofan, come nel resto del Sudan, la guerra continua a colpire soprattutto i civili, intrappolati in un conflitto senza vie d’uscita.
Foto copertina: ANSA/SARA CRETA | Fiamme e fumo si levano da un edificio a Omdurman, in Sudan
