Verso le elezioni europee: come voteranno i giovani

Gli under 30 non sperano nel futuro, non sono contaminati dalle ideologie e si informano sul web. Dove sta andando il loro voto?

A maggio 2019 ci saranno le elezioni europee. Gli ultimi tre anni hanno ridisegnato molti tratti della mappa politica e non solo nel vecchio continente. Dal referendum sulla Brexit (giugno 2016) al voto regionale in Andalusia (poche settimane fa) abbiamo visto svilupparsi la crisi dei partiti tradizionali, compiersi la frammentazione del quadro politico, emergere nuovi soggetti variamente anti-sistema. Soprattutto a destra, ma anche a sinistra.


Per contestualizzare: The New Populism, un studio del quotidiano britannico The Guardian, ci dice che oggi circa il 27% dei voti in Europa va a partiti che sono stati classificati come populisti da un gruppo internazionale di esperti e accademici. Vent’anni fa, nel 1998, questa percentuale era pari all’8%.


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In tutto questo ridefinirsi degli equilibri politici, qual è il ruolo di chi oggi ha 18, 22, 25, 30 anni? I terremoti elettorali che negli ultimi anni hanno cambiato i colori della geografia politica europea riflettono le istanze di questa generazione, o vanno invece nella direzione opposta?

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Contro il sistema

La prima cosa da dire è che lo zeitgeist, lo spirito del tempo che stiamo vivendo ha sì dei tratti comuni, ma anche evidenti differenze. Come vedremo meglio nelle prossime puntate, non esiste un “elettorato-tipo” dei partiti antisistema valido ovunque.

In Italia il boom dei 5 Stelle nel 2013 fu anche un voto generazionale, reso possibile dall’exploit tra i giovani (44% fra i 18-24enni e 38% fra i 25-34enni, secondo i dati ITANES), ma di tutt’altro segno è stata l’elezione di Trump negli Stati Uniti, con i ragazzi under 30 che hanno preferito Hillary Clinton, dipinta come candidata dell’establishment, con quasi 20 punti di margine.

Un altro appuntamento politico chiave di questi anni, il referendum sulla Brexit del giugno di due anni fa, è stato letto come un voto anti-sistema ma “contro” i giovani, che – lo vedremo – avevano votato a maggioranza per rimanere nell’Unione Europea.

Il futuro non dà speranza

Insomma: cogliere i mutamenti nel clima d’opinione della fascia giovanile è da sempre importante per chi si occupa di analizzare l’opinione pubblica. Questo perché, fin dagli anni Sessanta, i giovani hanno anticipato le tendenze politiche e sociali del continente.

Le generazioni emergenti, negli ultimi tempi, sembrano avere difficoltà a conservare il ruolo di “motore della storia”, mostrandosi meno capaci di orientare le tendenze della società.

Insofferenti, disillusi, sfiduciati: queste sono le narrazioni più ricorrenti per raccontare una generazione che oggi guarda al futuro con poche certezze e ancor meno risposte da parte delle istituzioni e del mondo del lavoro.

Negli Stati Uniti il 90% delle persone nate negli anni Quaranta ha beneficiato di condizioni economiche migliori dei propri genitori, ma fra chi è nato negli anni Ottanta questa percentuale crolla al 40. Sei italiani su dieci sono convinti che avranno una vita peggiore di quella della generazione precedente.

Ma questa sfiducia, il senso di «deprivazione economica relativa» raccontato anche da Matthew Goodwin e Roger Eatwell nel libro National Populism. The Revolt Against Liberal Democracy, non sfociano necessariamente in mobilitazione.

Le grandi manifestazioni giovanili non sembrano essere all’ordine del giorno, neanche dentro una contestazione che in queste settimane ha attivato una risonanza mediatica globale, quella dei gilet gialli.

Gli under 30, pur presenti, non sono centrali in questa fase di mobilitazioni di piazza in cui, secondo una ricerca collettiva pubblicata da Le Monde, l’età media dei manifestanti è 45 anni, quasi quattro in più rispetto all’età media della popolazione francese.

Elettori senza ideologie

Chi oggi ha 18, 22, 25, 30 anni rappresenta una generazione che è stata solo sfiorata dalle ideologie e per questo non conosce il voto di appartenenza. Anche in Italia, dove per quasi settant’anni i territori avevano sempre votato allo stesso modo, abbiamo visto nelle ultime tornate elettorali costanti sorprese e flussi di voto inattesi. E protagonisti di questa volatilità elettorale sono, anche, i giovani. Diversi nel modo di comunicare tra loro, di recepire le informazioni, di intendere la politica.

Nel 2018, secondo i dati Censis, è crollata la quota degli italiani che si informano tramite siti web e social network. Ed è tra i giovani che le percentuali sono più impietose. Crolla Twitter e, soprattutto, crolla Facebook dal 10.6% al 3.9% il primo, dal 48.8% al 33% il secondo.

Il social network a cui sono iscritti più di 30 milioni di italiani secondo i dati dell’ultimo anno si trova a dover affrontare segnali di crisi a livello globale. Cambiano i canali, cambiano i linguaggi. Se i padri hanno imparato ad usare Whatsapp, i giovani hanno risposto cercando nuovi social, su tutti Instagram, sempre più nelle attenzioni di comunicatori e leader politici.

I siti web sono in grande ascesa, il 17% dei giovani si informa su quel canale, mentre, sempre tra le nuove generazioni, i quotidiani online hanno ormai superato (e quasi doppiato) i quotidiani cartacei (7.3% i primi, 3.8% i secondi).

La domanda a cui cercheremo di rispondere in queste settimane è questa: quanto i giovani, generazione che si informa e si aggiorna in modo ibrido, abituata a rapidità e immediatezza, sono parte attiva, o addirittura protagonisti, dei cambiamenti politici di questi anni? Quanto sono loro a ridisegnare mappe e confini della geografia politica di questi tempi?

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