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Cori razzisti: quando interrompere la partita? «Mai», parola di Governo e Polizia – Il video

14 Gennaio 2019 - 17:03 Valerio Mammone
Ministero dell'Interno e Polizia di Stato sono allineati: in caso di cori discriminatori, lo show deve andare avanti per questioni di ordine pubblico

Fifa e Uefa, i massimi organi decisionali del calcio mondiale ed europeo, possono mettersi l’anima in pace. In Italia nessuna partita sarà mai sospesa per razzismo, a meno che a bordo campo non ci sia un responsabile dell’ordine pubblico disposto a disobbedire alle indicazioni del ministero dell’Interno e della Polizia di Stato: «Se c’è un coro sbagliato, la risposta non deve essere la chiusura ma gli applausi del 99% dei tifosi per bene», aveva detto Salvini dopo Inter-Napoli del 26 dicembre scorso, quando il difensore Kalidou Koulibaly era stato bersagliato dagli ululati della curva interista senza che l’arbitro prendesse provvedimenti. E la pensano così anche Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo sport, e il capo della Polizia Franco Gabrielli, ospiti di un convegno sulla sicurezza negli stadi che si è tenuto il 14 gennaio al Mapei Stadium di Reggio Emilia.

«Gli stadi chiusi sono una sconfitta per lo Stato», ha detto Giorgetti a margine dell’evento. E la sospensione della partita? L’allenatore del Napoli Carlo Ancelotti ha già detto che se ci saranno altri cori razzisti chiederà all’arbitro di fermare tutto, gli ha chiesto un cronista. «Umanamente lo capisco – ha risposto Giorgetti – ma bisogna anche pensare alla responsabilità di far uscire 50, 60 mila persone in modo ordinato dallo stadio». Franco Gabrielli è allineato. Ricorda i disordini avvenuti a Roma nel 2004, quando si decise di sospendere il derby Roma-Lazio sulla base di una notizia falsa: la morte di un bambino investito da una volante della polizia.

«Io non voglio bacchettare nessuno, tantomeno personaggi della statura di Ancelotti», ha detto Gabrielli. «Ognuno è libero di assumere le iniziative che intende assumere, ma a ogni azione corrisponde una conseguenza. In casi di razzismo e discriminazione la reazione deve essere netta, ma certe scelte possono compromettere ulteriormente l’ordine pubblico». La linea è chiara: non potendo garantire tutto, lo Stato sacrifica l’etica e il rispetto reciproco sull’altare dell’ordine pubblico. Una scelta difficile da contestare, ma che suona come una resa e una sconfitta per lo sport.

La sospensione delle partite in caso di cori razzisti è prevista da una procedura congiunta Fifa-Uefa, recepita in Italia nel 2013 sull’onda emotiva dei cori razzisti dei tifosi della Pro Patria all’ex giocatore del Milan Boateng. La procedura prevede tre passaggi: primo avvertimento al pubblico; se i cori discriminatori continuano, l’arbitro può raccogliere le squadre e centrocampo e diffondere un secondo avvertimento; al terzo avvertimento la partita può essere sospesa. La decisione finale spetta ai referenti della Questura che si trovano a bordo campo e che dipendono dal ministero dell’Interno. E qui torniamo al punto di partenza. Finora il regolamento non è mai stato applicato fino in fondo, nemmeno il 26 dicembre scorso, nonostante Ancelotti avesse richiamato l’arbitro per tre volte. L’impressione è che continuerà ad andare così.

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