Casapound intoccabile, perché lo sgombero è una realtà lontana ​

A decidere sarà il Prefetto e Salvini ha già detto che l’edificio non è tra le priorità. Poi c’è la delibera del 2007, citata in queste ore da Di Stefano, che obbliga il Comune a trovare un alloggio a tutti. «La nostra linea – dice a Open l’ex assessore Morassut – era di dialogo con le nuove formazioni politiche giovanili. Solo che Casapound all’epoca era un’altra cosa»

Una situazione difficile da sbloccare. Sull’immobile occupato da Casapound, la partita si gioca a distanza sull’asse Campidoglio – ministero dell’Interno. Sì, perché dopo la mozione approvata da M5s e Pd, Virginia Raggi non ha più poteri e Matteo Salvini ha messo subito le mani avanti dettando la linea: «Come da accordi con la Prefettura, interverremo sulle occupazioni illegali ma – ha sottolineato il leader leghista – si partirà dalle situazioni più pericolose per l’instabilità delle strutture e da quelle per cui ci sono richieste di sequestro». Ergo: non avendo questo genere di problemi, l’immobile di via Napoleone III, per ora, non è tra le priorità del suo ministero.


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Virginia Raggi

Lo scontro Lega M5s

«Matteo Salvini, ti presenterai anche lì con la ruspa?», provoca Roberta Lombardi, capogruppo M5s in Consiglio regionale del Lazio. «Patetici, buffoni e incapaci». Simone Di Stefano, leader di Casapound definisce così i 5 Stelle che hanno votato la mozione insieme al Pd. «Questa è la solita polpetta avvelenata per Salvini, fatta pensando di metterlo in difficoltà». Di Stefano se la prende con gli autori della mozione e minaccia querele: «Non esiste nessuna sede di partito in via Napoleone III, ci sono invece 18 famiglie in emergenza abitativa – dice Di Stefano -. Il Comune non è il proprietario, quindi non ha nessun potere di richiedere indietro lo stabile».

E’ davvero cosi? In parte Di Stefano ha ragione. L’immobile – occupato dalla formazione di estrema destra dal 26 dicembre 2003 – è di proprietà del Demanio. Non solo. Di Stefano chiama anche in causa la delibera Veltroni che «obbliga il Comune di Roma a fornire 18 alloggi di edilizia residenziale pubblica alle famiglie occupanti, prima di eseguire qualsiasi sgombero». Ed è proprio da qui che – per gli autori della mozione approvata e per chi ci ha provato negli anni – sorgono le difficoltà a sbloccare la situazione rispetto allo sgombero dell’immobile.

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Simone Di Stefano

Veltroni e il no agli sgomberi

L’atto più volte citato nelle ultime ore dal leader di Casapound Di Stefano è il 206/2007. Con questa delibera del Campidoglio, approvata il 16 maggio 2007 dalla giunta di centrosinistra guidata da Walter Veltroni, l’immobile di via Napoleone III viene inserito tra le occupazioni storiche di Roma per l’emergenza abitativa. Infatti, a prescindere da quale sia la proprietà dell’immobile, le soluzioni alloggiative sono di competenza dell’ente locale. Dunque, anche se lo stabile di via Napoleone III è di proprietà del Demanio, l’allora amministrazione capitolina – attraverso la delibera 206 – ha potuto “riconoscere” l’occupazione storica dell’edificio ai “fascisti del terzo millennio”, come si autodefiniscono gli esponenti di Casapound.

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Walter Veltroni

Le ragioni alla base della delibera

Perché è stata riconosciuta quell’occupazione storica? Forse la spiegazione la si può rintracciare provando a comprendere il clima di quegli anni. «All’epoca – racconta Roberto Morassut, ex assessore all’Urbanistica della giunta Veltroni, ora deputato Pd – la condotta generale che aveva l’amministrazione era quella di avere un rapporto di dialogo con le nuove organizzazioni giovanili che venivano sia da destra che da sinistra. Solo che Casapound all’epoca era un’altra cosa». «Nell’ottica di superare le asprezze e le divisioni del tempo – spiega Morassut – l’amministrazione, nei limiti del possibile, cercava di stabilire un rapporto con queste realtà associative molto politicizzate e ideologizzate di destra e di sinistra». «Poi – prosegue – Casapound si è sviluppata, è divenuta quello che è oggi, è cambiato anche il clima generale ed è tutto un altro genere di discorso».

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Roberto Morassut

Tra gli altri esempi di assegnazioni, Morassut cita quello del Mattatoio di Testaccio, quartiere di Roma. «All’epoca – ricorda il deputato Pd – stabilizzammo Villaggio globale, una associazione che aveva occupato una porzione del Mattatoio e che ogni anno organizzava concerti, mostre e rassegne culturali, e aveva una sua dignità». «Così – prosegue – cominciammo a trasformare il Mattatoio – dove c’erano diverse realtà associative di sinistra – in una realtà culturale formativa, con l’inserimento delle università e dei laboratori. Un progetto che ancora sta andando avanti».

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Le puntate precedenti

Nel 2009, con Gianni Alemanno, l’amministrazione capitolina tenta di inserire lo stabile in un pacchetto di beni che il Demanio avrebbe dovuto cedere al Comune per quasi 12 milioni di euro. Operazione mandata subito a monte dalle accese proteste. Qualche anno dopo, nel 2016, lo stabile viene inserito dall’allora commissario straordinario Francesco Paolo Tronca nella lista dei 93 edifici pubblici occupati da liberare. Ma anche all’epoca non era in cima all’elenco delle priorità stilato dalla Prefettura assieme al Campidoglio.

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Gianni Alemanno

Lo scorso autunno la sindaca Raggi e il ministro dell’Interno Salvini si confrontano aspramente sulla questione. Tutto è nato il 23 ottobre 2018, dopo una mancata ispezione dello stabile da parte della finanza ordinata dalla Procura regionale della Corte dei Conti che stava indagando su un’ipotesi di danno erariale. «Mi aspetto un segnale forte che chiaramente non può venire da noi», ha detto allora Raggi che, pur di sgomberare, si è detta disponibile ad usare – quando sarebbe arrivato il momento – il corpo della polizia di Roma Capitale e il sistema dell’accoglienza.

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Matteo Salvini

La linea Salvini

La replica piccata di Salvini non tarda ad arrivare: «A Roma ci sono 100 immobili occupati abusivamente, alcuni da 20 anni. Ce ne sono quattro con problemi di stabilità. Partiamo da quei quattro». «Le priorità non le decido io – aggiunge il ministro dell’Interno – ma la stabilità dei tetti e la Procura di Roma. Sgomberiamo tutto, non ci sono occupanti di Serie A e di serie B, ma c’è una lista di priorità». Come a dire che il calendario degli sgomberi non era stabilito da lui ma dalle emergenze e dalle situazioni prioritarie. Exit strategy rigiocata anche questa volta.

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Il 22 novembre 2018 l’agenzia del Demanio ha preso la parola e spiegato i termini della vicenda: «Le decisioni su tempi e modalità degli sgomberi degli immobili occupati abusivamente sono di competenza del Prefetto, e questo vale anche nel caso della sede romana di Casapound, in un immobile di proprietà dello Stato. Immobile che è sì nell’elenco dei 74 da sottoporre a procedure di sgombero, ma non è stato classificato fra i 16 per i quali è stato delineato in via prioritaria un primo piano di interventi di sgombero». Insomma decide la Prefettura: organo territoriale che risponde al Viminale.

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