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I miliardari pro-Brexit che hanno abbandonato il Regno Unito per pagare meno tasse

18 Febbraio 2019 - 13:07 OPEN
L'ultimo si chiama Jim Ratcliffe, è l'uomo più ricco del Paese e ha ricevuto anche un'onoreficenza dalla Regina

Lui si chiama Jim Ratcliffe, è l'uomo più ricco del Regno Unito e dall'anno scorso è anche un «Sir», avendo ricevuto l'onorificenza dalla Regina. Ma presto sarà britannico soltanto di passaporto, non di portafoglio. Nonostante abbia contribuito economicamente alla campagna pro-Brexit, per emancipare la patria dalle catene dell'Unione europea, il patriota Ratcliffe, insieme ad alcuni dirigenti della compagnia chimica Ineos da lui fondata (valutata a 35 miliardi di sterline), starebbe programmando di creare una nuova sede per la sua compagnia nel Principato di Monaco.

La motivazione? Pagare meno tasse. A rendere ancora più sgradevole l'ipocrisia di Ratcliffe è il fatto che in passato abbia ricevuto 230 milioni di sterline in sussidi pubblici per Ineos. Ratcliffe non è l'unico ad aver optato per la "Brexit fiscale". Sono diversi i miliardari e milionari britannici che si sono schierati a favore della Brexit, chi soltanto a parole, chi anche con il portafoglio, salvo poi imboccare la strada per l'estero. Come James Dyson, inventore dell'omonima aspirapolvere, che ha recentemente trasferito gli headquarter della sua compagnia in Singapore, sempre per pagare meno tasse.

Un altro esempio eclatante riguarda Jacob Rees-Mogg, capo della fazione di conservatori ultra-euroscettici, che ha negato l'appoggio alla Premier Theresa May perché si era rifiutata di escludere l'opzione di un'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, il cosiddetto «no deal Brexit». In vista della Brexit, una compagnia fondata da Rees-Mogg, Somerset Investment Capital, ha recentemente aperto un nuovo fondo di investimento a Dublino, capitale di un Paese membro europeo ma anche paradiso fiscale.

La campagna referendaria pro-Brexit è stata caratterizzata anche da una serie di illeciti finanziari, veri o presunti. Arron Banks, co-fondatore del gruppo Leave.eu e tra i principali donatori del movimento indipendentista britannico Ukip (quello presieduto in passato da Nigel Farage, per intenderci), è finito nei guai non soltanto per i frequenti contatti con diplomatici russi nei mesi prima del voto, ma anche perché non è riuscito a spiegare in modo sufficientemente convincente, secondo una commissione d'inchiesta parlamentare, l'origine degli 8,4 milioni di sterline usati per finanziare la campagna pro-Brexit.

Inoltre, sia Leave.eu, sia l'altro gruppo anti-Ue, Vote Leave, hanno ecceduto i limiti di spesa consentiti per la campagna referendaria. Se pensiamo che il margine di vittoria è stato di meno del 2%, gli illeciti commessi dalle due campagne avrebbero potuto cambiare il corso della storia.

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