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Il presidente 81enne vuole candidarsi per la 5a volta: ecco perché l’Algeria scende in piazza

Decine di migliaia di algerini sono scesi in piazza per contestare l'annuncio di Abdelazizi Bouteflika. Complice anche le difficili condizioni economiche in cui versa il Paese

Non soltanto Algeri, ma anche Oran, Constantine, Setif, Tizi Ouzou and Bouira ​. Decine di migliaia di algerini sono scesi in strada venerdì 1 marzo per protestare contro il regime di Abdelazizi Bouteflika. Il Presidente dell’Algeria, uomo chiave della riconciliazione del Paese dopo la decade nera della Guerra civile iniziata nel 1991, è diventato simbolo dell’immobilismo politico del Paese. Da vent’anni al potere, ha annunciato di volersi ricandidare alle elezioni politiche previste per l’aprile di quest’anno, nonostante abbia 81 anni e sia rimasto vittima di un ictus nel 2013. Le sue condizioni di salute sono talmente precarie che non è stato in grado di annunciare personalmente la candidatura. Sarebbe il suo quinto mandato.

Una decisione che è stata percepita come una forzatura autoritaria da una parte della popolazione che è scesa in strada per manifestare. Manifestazioni per la maggior parte pacifiche, che nell’arco di poche ore sono degenerate, da quello che risulta per la reazione delle forze dell’ordine. Alla fine della giornata si contavano circa 45 arrestati e 56 poliziotti feriti, secondo le stime ufficiali. Ma in serata sarebbe anche morto un manifestante.

Secondo il sito di Al Jazeera, che cita un tweet del ministro dell’Interno algerino, sarebbe Hassan Benkhedda, figlio di Benyoucef Benkhedda, uno dei leader politici del Fronte di Liberazione Nazionale, i partigiani che lottarono per liberare l’Algeria dalla presenza coloniale della Francia che durava dal 1830. Sarebbe davvero un’ironia della Storia: un figlio della Rivoluzione anti-coloniale rimasto ucciso nelle manifestazioni contro un regime repressivo tutto algerino.

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Per capire meglio le ragioni delle manifestazioni e alcune possibili ripercussioni ne abbiamo parlato con Federico Borsari, ricercatore Ispi.

Perché sono scoppiate nuove proteste proprio ora? 

«Quello che è inciso molto è il peggioramento delle condizioni economiche negli ultimi 3-4 anni da quando dal 2014 c’è stato un abbassamento nei prezzi degli idrocarburi che sono la base principale dell’economia algerina  – il 97 percento delle esportazioni, un terzo del Pil. Da quando c’è stato questo calo l’entrate fiscali sono diminuite notevolmente. Questo ovviamente ha inciso sulle possibilità dello stato di garantire un minimo di assistenza che aveva garantito negli anni precedenti, seppure con grandi difficoltà. Non è bastata la finanziaria presentata all’inizio del 2019 che prospettava una crescita del 3,2% nei settori che non dipendono dagli idrocarburi, per dare l’impressione di uno sforzo della diversificazione dell’economia. Altre ragioni sono legate alla ricandidatura di Bouteflika. La popolazione lo sta percependo come un’imposizione di un sistema politico farraginoso e corrotto»

Le manifestazioni ricordano quelle del 2011, durante la cosiddetta Primavera araba. Cosa è cambiato d’allora? E che sbagli ha commesso Bouteflika?

«Nel 2011 il prezzo degli idrocarburi era ancora molto alto. Il Governo era riuscito ad aprire alle proteste riuscendo a garantire politiche di welfare. Soprattutto l’esercito si era comunque schierato a favore del regime politico. Quindi anche l’opposizione all’interno al regime era frammentata e non era stata in grado di cavalcare l’onda delle proteste. Oggi ancora non è chiaro. I candidati che correranno contro Bouteflika non hanno una base sufficientemente grande per poter vincere. Bisognerà vedere come reagirà l’establishment politico e soprattutto cosa farà l’esercito»

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Si dice che la crisi di politica estera più temuta dal presidente francese Emmanuel Macron sia la potenziale implosione dell’Algeria.

«L’Algeria mantiene stretti contatti con la Francia, conseguenza del passato coloniale. La Francia, come l’Italia ha degli interessi energetici nel Paese. Sia Eni che Total hanno investimenti in Algeria, per esempio. E la stessa Algeria avrebbe interesse a mantenerli. Recentemente entrambe compagnie hanno siglato accordi energetici per incrementare l’importazione di idrocarburi verso l’Europa e hanno ampliato il range delle trivellazioni offshore. La Spagna riceve quasi il 50 percento del proprio gas naturale dall’Algeria. L’Europa nel suo complesso quasi il 15 percento. Quindi una crisi politica in Algeria potrebbe avere conseguenze serie per diversi Paesi»

Non crede che potrebbe incidere anche sulla gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo? Ricordo per esempio i flussi di migranti dall’Algeria verso la Sardegna

«L’Algeria ha un ruolo importante come Paese di transito di migranti che provengono dall’Africa occidentale ma anche del Medio Oriente. Ha sempre adottato una politica molto severa nei confronti dei migranti. Soprattutto ai suoi confini al Sud. Ha ricevuto anche della critiche dalle Nazioni Unite per esempio sul trattamento dei migranti siriani. Con i problemi economici che avversano il Paese anche i giovani algerini sono spinti a lasciare per cercare lavoro altrove. Credo che sarebbe anche nell’interesse dell’Europa che in Algeria ci fosse un apertura più democratica. Le potenzialità economiche ci sono».

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