I lavoratori Pernigotti e le promesse tradite

Negli ultimi mesi davanti ai cancelli dello stabilimento piemontese i 92 operai hanno visto passare numerosi politici. Dal presidente del Parlamento europeo Tajani a Luigi Di Maio. Dal governatore piemontese Chiamparino al capogruppo alla Camera della Lega Molinari

Non sono gli auguri pasquali via social fatti dall’azienda Pernigottiai clienti ad averli fatti arrabbiare. Anche sela foto dell’uovo di cioccolato è stata sicuramente indigesta, per i 92 lavoratori dello stabilimento di Novi Ligure – in cassa integrazione da febbraio -è la delusione ormai il sentimento più diffuso. La chiusura era scattata il 1 dicembre, dopo 150 anni di storia nella provincia di Alessandria dove il cioccolato (e qui, il gianduiotto) sono da sempre più simili all’oro che a una semplice materia prima.


«Ci siamo sentiamo usati dai politici. Sono venuti qui a fare tante promesse e poi nulla»spiega Franco Badiali, operaio 54enne addetto alla preparazioni delle basi dei gelati. Lavorava alla Pernigotti da 30 anni:«Mi mancano cinque anni alla pensione. So fare anche l’imbianchino, spero di trovare presto qualcosa» spiega Badiali, che quando era iniziata la protesta in fabbrica aveva dormito per 40 notti consecutive lì dentro.La maggior parte degli operai ha tra i 40 e i 50 anni.


I lavoratori Pernigotti e le promesse tradite foto 1

ANSA/ANGELO CARCONI Roma, 15 novembre 2018

L’assemblea permanente nella fabbrica (a partire da novembre) è sempre stata un’occupazione garbata, in pieno stile piemontese. Negli ultimi mesi davanti ai cancelli dello stabilimento piemontese gli operai hanno visto passare numerosi politici. Dal presidente del Parlamento europeo Tajani a Luigi Di Maio. Dal governatore piemontese Chiamparino al capogruppo alla Camera della Lega Molinari. Matteo Salvini invece lì non si è visto. Il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio aveva anche promesso una legge ‘Pernigotti’ per legare il marchio al territorio nel quale è nato un prodotto.

La multinazionale Toksoz, che aveva deciso la chiusura dello stabilimento a novembre, ha annunciato la propria indisponibilità a cedere il marchio. Quindi ora può – legittimamente – fare utilizzare il marchio a terzi che lavorerebbero con il marchio in Italia e all’estero, senza utilizzare la mano d’opera locale. «C’è una possibilità, anche se non è quella che ci auguravamo, grazie alla trattativa che sarebbe in corso con due aziende. Una trentina di lavoratori potrebbero lavorare per conto terzi. Ma non è una soluzione per tutti», spiega Marco Malpassi (sindacalista Flai Cgil di Alessandria).

«Negli ultimi tempi la proprietà turca non pare azzeccarne molte. Dallo ‘spezzatino’ alla vendita dei rami d’azienda. Così pare essere anche per questa massiccia campagna pubblicitaria, che suona decisamente fuori luogo» ha detto il sindaco di Novi Ligure, Rocchino Mulierecommentando gli auguri fatti da Pernigotti.

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Dopo l’accordo firmato al ministero dello Sviluppo Economico il 6 febbraio scorso per la cassa integrazione straordinaria per«re-industrializzazione», il governo dovrebbe tornare a parlare del caso nel prossimo Consiglio dei ministri dedicati al Decreto Crescita. Ma non è chiaro in che modo possa intervenire sulla situazione dei 92 lavoratori ormai fuori dallo stabilimento di Novi Ligure.

La polemica tra gli alleati di governo non ha risparmiato nemmeno questo caso: solo cinque giorni fa il Movimento 5 Stelle sul Blog delle Stelleha attaccato il partito di Salvini.«La volete sapere l’ultima? La Lega si sta opponendo all’inserimento della cosiddetta ‘norma Pernigotti’, cioè quella per salvaguardare i marchi storici del Made in Italy, nel Decreto Crescita. Proprio così. Un fatto veramente assurdo, paradossale e inaccettabile!». Il Carroccio ha presentato infatti una proposta di legge per tutelare i marchi storici, cioè quelli registrati da almeno 50 anni e legati a uno specifico territorio. In entrambi i casi, il percorso sembra avere tempi molto lunghi.

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