Mafia Capitale, Alemanno corrotto: «Ma non sapeva di aiutare un clan»

La sentenza con cui l’ex sindaco è stato condannato per corruzione

L’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, era corrotto. Ma non sapeva dell’esistenza dell’organizzazione che ormai tutti chiamano “Mafia capitale”. Non ci sono «elementi di prova che dimostrino che Gianni Alemanno fosse consapevole del legame che univa Salvatore Buzzi a Massimo Carminati e tanto meno che potesse avere contezza del sodalizio criminoso, riconducibile ai due (condannati in appello rispettivamente a 18 anni e 4 mesi di reclusione e a 14 anni e mezzo per Mafia Capitale, ndr)», ma di certo «il modulo organizzativo utilizzato dal sindaco non è stato un valido presidio a garanzia della trasparenza, dell’economicità e dell’efficienza nell’operato dell’Amministrazione ma invece ha contribuito alla formazione di zone d’ombra idonee a ingenerare comportamenti distorsivi e illegittimi». Così scrivono, in 113 pagine di motivazioni, i giudici della seconda sezione penale del tribunale di Roma che il 25 febbraio scorso hanno condannato l’ex sindaco a 6 di reclusione per corruzione e finanziamento illecito, un anno in più rispetto a quanto chiesto dal pm Luca Tescaroli. «Il fatto che Alemanno fosse politicamente legato a soggetti che poi sono risultati coinvolti nel sodalizio (Luca Gramazio, Fabrizio Franco Testa e Riccardo Mancini) non è sufficiente a dimostrare che anche esso abbia fornito un proprio consapevole apporto agli scopi e finalità di detta associazione». E’ provato «con assoluta certezza», invece, che ci fosse «un rapporto corruttivo con Buzzi, che era in essere sin dal 2011-2012», in virtù di rapporti diretti, anche telefonici, che legavano i due.


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