Cosa succede se l’Italia non corregge i conti?

L’Italia ha ancora margine politico per evitare la procedura d’infrazione. Ma cosa succede se il Governo non cederà alle richieste di Bruxelles?

La foto di Giovanni Tria seduto da solo tra i banchi del Parlamento è una delle immagini più eloquenti degli ultimi giorni. Il ministro dell’Economia è sotto pressione sia sul fronte europeo, per la la procedura d’infrazione, che interno, dove è spesso bersagliato da entrambi i partiti del governo gialloverde. A Tria spetta un compito difficile: evitare l’austerity, come chiedono Luigi Di Maio e Matteo Salvini e contenere, anzi ridurre, il debito pubblico, come chiede la Commissione Europea. Un compromesso è necessario, ma la strada per raggiungerlo è molto stretta.


Le prossime tappe

Dopo la risposta di Tria alla lettera arrivata da Bruxelles, la palla ora torna alla Commissione europea che nella riunione del 26 giugno o del 2 luglio potrebbe raccomandare la procedura e fissare target e tempi per la riduzione del debito italiano. L’ultima tappa decisiva ci sarà il 9 luglio, quando l’Ecofin potrebbe mettere il bollo definitivo al percorso di rientro. Nel mezzo, però, il governo avrà diverse occasioni per provare a giocarsi politicamente l’inversione di tendenza. Tanto Matteo Salvini quanto Luigi Di Maio sono convinti che una procedura d’infrazione non ci sarà. Intanto, secondo alcune indiscrezioni arrivate da Bruxelles, i tecnici dell’Ue hanno già dato l’ok per far partire le misure punitive a danno dei conti pubblici italiani.


Le conseguenze di una procedura d’infrazione

Le conseguenze di una insufficiente revisione dei piani di investimento pubblico renderebbero l’Italia un sorvegliato speciale agli occhi delle istituzioni europee. Le sanzioni previste potrebbero arrivare fino a 9 miliardi di euro (lo 0,5% del Pil) e i fondi strutturali – gli investimenti con cui l’Ue contribuisce allo sviluppo omogeneo dei vari Stati dell’Unione – verrebbero congelati. Un Paese a rischio fallimento è un Paese che non è in grado di attirare investitori. Se la sfiducia sale, l’Italia non sarà in grado di garantirsi entrate a sufficienza per realizzare i piani di investimento pubblico promessi nelle campagne elettorali. Inoltre, un altro braccio di ferro con la Commissione, dopo quello di dicembre, potrebbe provocare un aumento dello spread e costringere l’Italia a spendere molto di più in interessi per finanziare il debito pubblico. L’aumento dell’Iva, a quel punto, sarebbe un provvedimento praticamente impossibile da evitare, così come i passi indietro su molte iniziative di welfare per poter centrare i parametri imposti dall’Ue. In aggiunta all’aumento delle tasse, ci sarebbe la questione degli interessi: i soldi che l’Italia eventualmente riceverebbe da investitori privati (o da altri Paesi) salirebbero in maniera esponenziale.

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