«Ecco perché Carola Rackete doveva restare in carcere». Le motivazioni dei pm al ricorso in Cassazione

«I titoli di reato consentivano l’arresto, esisteva lo stato di flagranza e venivano rispettati i termini di legge», si legge nel ricorso presentato dalla Procura di Agrigento

Pesanti critiche arrivano dai pm per la decisione del giudice per le indagini preliminari Alessandra Vella, la quale ha deciso di non convalidare l’arresto di Carola Rackete. La giovane comandante della nave Sea Watch 3 è così potuta tornare in Germania.


I magistrati della procura di Agrigento hanno fatto ricorso alla Corte di Cassazione: «I titoli di reato consentivano l’arresto, esisteva lo stato di flagranza e venivano rispettati i termini di legge», si legge nel ricorso presentato dal procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, di cui è entrata in possesso l’agenzia stampa Adnkronos.


Ma non solo: nel provvedimento di scarcerazione di Rackete emesso dal gip, «si rileva il vizio di violazione di legge e la mancanza di motivazione, in quanto l’ordinanza impugnata non ha valutato correttamente i presupposti della misura pre-cautelare adottata nelle forme con le quali è chiamata a farlo, procedendo all’erronea non convalida dell’arresto in questione», si legge sempre nel ricorso presentato alla Cassazione.

La misura pre-cautelare

Carola Rackete era stata arrestata lo scorso 29 giugno per resistenza e violenza contro nave da guerra, reato che in Italia prevede una pena che va dai 3 ai 10 anni di reclusione. La capitana aveva disobbedito agli ordini della Guardia di Finanza e aveva deciso di attraccare comunque al porto di Lampedusa per fa sbarcare i migranti a bordo della nave.

Il ricorso di Patronaggio

Nel ricorso presentato dal procuratore capo di Agrigento si legge che la giudice sarebbe giunta a una «conclusione contraddittoria, errata e non adeguatamente motivata – perché avrebbe dovuto verificare, in merito alla condotta di Rackete, se – il dovere di soccorso invocato potesse avere efficacia scriminante».

Parole dure quelle dei pm di Agrigento: sostengono che il Gip «si è limitato ad affermare tout court che legittimamente Carola Rackete avesse agito poiché spinta dal dovere di soccorrere i migranti. L’impostazione offerta dl gip – scrivono i magistrati – sembra banalizzare gli interessi giuridici coinvolti nella vicenda e non appare condivisibile la valutazione semplicistica offerta dal giudicante».

La questione speronamento

La procura di Agrigento interviene anche sul tanto discusso contatto tra la Sea Watch 3 e la motovedetta delle Fiamme Gialle. Se per il giudice Vella quell’imbarcazione non può essere considerata una nave da guerra, la procura, nel ricorso, afferma che «la motovedetta V808 della Gdf è iscritta nel naviglio militare dello Stato e reca le insegne militari e del Corpo di appartenenza».

E aggiunge: «Il comandante è un maresciallo ordinario della Gdf e riveste lo status militare al pari di tutti gli appartenenti al corpo, è armata con dispositivi di armamenti individuali e di reparto di tipo militare – e perciò -. Si ritiene, contrariamente a quanto affermato dal gip, che la motovedetta si da qualificare come nave da guerra».

Scarcerazione «errata»

Nel ricorso presentato alla Cassazione non si usano mezzi termini per definire la scarcerazione «in ragione della tipologia di controllo che egli (il giudice, ndr) è chiamato ad effettuare in sede di valutazione di legittimità dell’arresto in flagranza operato dalla Polizia giudiziaria».

«Nel corpo motivazionale dell’ordinanza impugnata – si legge – il giudice ha ritenuto di non convalidare l’arresto, senza però nulla argomentare né sulla ragionevolezza dello stesso né sulla manifesta configurabilità della causa di giustificazione invocata, giungendo ad emettere un provvedimento di non convalida di arresto del tutto assente di motivazione sul punto».

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