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Delitto Cerciello: dopo la conferenza stampa le domande senza risposta aumentano

31 Luglio 2019 - 05:30 OPEN
I punti rimasti oscuri sull'omicidio del vice brigadiere

La conferenza stampa di martedì 30 luglio è stata un apprezzabile momento di apertura da parte degli inquirenti e dell’Arma. Ma il loro racconto, che ha chiarito molti aspetti, ne ha lasciati altri in sospeso, suscitando nuovi interrogativi: e non solo attorno alla notizia che Mario Cerciello Rega era disarmato “per aver dimenticato la pistola”. Perché nonostante questo fu lui il carabiniere “mandato avanti” nell’operazione della notte tra il 25 e il 26 luglio?

È stato rivelato che c’erano quattro pattuglie in zona. Ma perché impiegare ben quattro pattuglie per uno scambio – descritto come normale – tra uno zainetto e cento euro? E perché con quattro pattuglie impegnate i due americani sono potuti fuggire indisturbati, lungo i 180 metri che separano il luogo dell’agguato dall’hotel che li ospitava, non attraverso dei vicoli impervi, ma dall’angolo scoperto di una delle principali piazze di Roma, piazza Cavour, di fronte a uno dei palazzi più controllati, e sempre presidiato dall’esercito, quello della Corte di cassazione? Peraltro all’altro lato della piazza c’è un commissariato di polizia, il Borgo XVIII. E ancora, perché con quattro pattuglie, cioè otto uomini, mandare avanti proprio l’unico disarmato? E chi aveva la responsabilità dell’azione, chi l’aveva decisa, chi la coordinava, chi aveva dato i ruoli a ciascuna delle pattuglie? E dov’era Sergio Brugiatelli mentre i due carabinieri si incontravano con i due americani? Davvero era stato lasciato accanto alla macchina dei carabinieri?

Ma le parole pronunciate nell’incontro con la stampa dai magistrati e dal generale Gargaro lasciano sospeso un altro punto. È la questione dei nordafricani. Come è venuta fuori quella descrizione dell’assassino con il suo accompagnatore, che fa a pugni con quel che si poteva stabilire già a una prima occhiata? Davvero fu Brugiatelli a depistare le prime indagini, per non far scoprire il suo ruolo di “facilitatore” della coca? Ma la cosa non era già ben nota? C’è poi una incongruenza lampante: se riascoltiamo le due registrazioni delle chiamate con il 112, Brugiatelli non fa nessun riferimento all’identità o alla nazionalità dei due che gli avevano rubato la borsa, e riferisce della sommaria trattativa avviata con loro senza alcun accenno a difficoltà linguistiche o di comprensione. Fossero stati nordafricani non lo avrebbe specificato? Possibile? E comunque, perché Brugiatelli non disse che erano stranieri?

E cosa aveva detto un’ora prima di quelle chiamate Brugiatelli ai due carabinieri che erano intervenuti sul luogo dello “scippo”? Quei due carabinieri erano proprio Cerciello e Varriale: un caso? Lo conoscevano già? È per questo che furono scelti loro per la missione di recupero? Furono loro a consigliare a Brugiatelli di cercare il contatto con i due americani e poi chiamare il 112 per “ufficializzare” l’accaduto? E nel caso, perché? È possibile che nello zaino rubato a Brugiatelli ci fosse qualcosa di molto delicato, qualcosa di scomodo o scottante al punto di indurre le forze dell’ordine a una operazione di recupero dissimulata? È possibile che fosse lo stesso smartphone? Si immagina che sia nelle possibilità degli inquirenti farne analizzare il contenuto. Un po’ di luce verrà di lì?

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