Puglia, salta il divieto alla plastica monouso in spiaggia: il Tar boccia la Regione

Secondo il tribunale, il divieto di usare plastica non è previsto da alcuna norma di legge

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia ha sospeso l’ordinanza che imponeva ai bar degli stabilimenti balneari di utilizzare piatti, bicchieri e posate in materiali compostabili.


A marzo la giunta regionale pugliese, così come vari comuni tra cui Rimini e Panarea, aveva lanciato la campagna «plastic free». Questa imponeva la sostituzione, anche con l’appoggio di un’associazione di proprietari dei lidi, piatti e bicchieri in plastica monouso con altri in cellulosa biodegradabile.


Raffaele Piemontese, assessore al Demanio, aveva fieramente rivendicato di essere «la prima Regione in Italia a rinunciare alla plastica per salvare la bellezza del nostro mare».

I giudici amministrativi hanno invece dato ragione alle associazioni di produttori di bevande del settore, che hanno fatto ricorso, forti del fatto che il divieto di usare plastica non è previsto da alcuna norma di legge.

Il Tar, presieduto da Giuseppina Adamo, ha stabilito che trattandosi di tutela della concorrenza, la regione non ha competenza. L’unica legge utile in questo caso è la direttiva europea 2019/903, pubblicata il 12 giugno, che impone però lo stop alla plastica a partire dal 2021. L’ordinanza sarebbe invece entrata in vigore subito, dando ai commercianti giusto il tempo di smaltire entro settembre le scorte di plastica.

La settimana scorsa il Tar Puglia ha preso una decisione analoga rispetto all’ordinanza del Comune di Andria di imporre ai distributori autimatici l’utilizzo di bicchieri biodegradabili. Anche qui il tribunale ha dato uno stop. Sempre per lo stesso motivo: non spetta alle regioni né tantomeno ai comuni legislare in questo campo.

Anche in Sicilia il Tar della Sicilia il 9 luglio ha accolto il ricorso dei produttori di stoviglie monouso contro i Comuni di Trapani e Santa Flavia (PA) e le loro ordinanze «plastic free». A motivare la decisione questa volta vi era l’assenza di presupposti di necessità e urgenza e dal rischio di provocare inutilmente danni gravi alle imprese e ai loro occupati.

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