Taglio dei parlamentari, i numeri per mettere in cantiere il voto sulle poltrone

di Agi

Far passare questa riforma non è così semplice. I numeri che la sosterrebbero non sono molto solidi, senza contare il rischio di arrivare a un referendum

Rischia di non vedere mai la luce la riforma costituzionale dei 5 stelle che taglia il numero dei parlamentari, dagli attuali 945 a 600 totali (200 senatori e 400 deputati). E non solo perché la legislatura potrebbe chiudersi anticipatamente.


Infatti, anche se la crisi del governo Conte dovesse avere come sbocco la nascita di un nuovo e diverso governo, quindi le Camere non verrebbero sciolte e i lavori del Parlamento dovessero proseguire, alla riforma pentastellata potrebbero mancare i numeri per il via libera finale da parte di Montecitorio.


Tutto si giocherebbe, a quel punto, sui voti della Lega (e del Pd). Finora, infatti, il ‘taglia poltrone’, come lo ha ribattezzato il Movimento, ha superato le due letture conformi di Camera e Senato e la terza e penultima lettura da parte di palazzo Madama grazie ai voti dei 5 stelle, della Lega e di FdI e di alcuni azzurri.

Hanno invece votato contro il Pd, Leu, le Autonomie, mentre Forza Italia ha votato Sì solo in occasione della prima lettura al Senato e alla Camera, per poi scegliere nella terza votazione a palazzo Madama di non partecipare al voto.

I numeri che servono per far passare la riforma

Va ricordato, poi, che per essere approvata la riforma, essendo una legge di rango costituzionale, necessita della maggioranza assoluta, che alla Camera è di 316. Già in occasione della scorsa votazione – dove però, essendo il primo via libera di Montecitorio non era richiesta la maggioranza assoluta – i Sì non raggiunsero quota 316 fermandosi a quota 310 e, se si fosse tratto dell’ultimo via libera, la riforma non sarebbe passata.

Dunque, tutto dipenderebbe da come voterebbe la Lega. Alla Camera, infatti, i 5 stelle possono contare su 216 deputati. La Lega su 125. Insieme, i due partiti arrivano a 341 Sì. Ma se la Lega dovesse decidere di sfilarsi, e FdI dovesse comunque decidere di confermare il Sì alla riforma, ai 5 stelle non basterebbero i numeri per farcela (si arriverebbe infatti a soli 249 voti, ovvero 67 voti in meno rispetto alla maggioranza assoluta).

Il Pd, o meglio la parte renziana dei dem, spingono in queste ore affinchè la legislatura vada avanti e si sono detti pronti a sostenere la richiesta dei 5 stelle di votare la riforma del taglio dei parlamentari. Questo «non vuole assolutamente dire che voteremmo a favore», scandisce un big renziano. «Noi restiamo contrari a questa riforma, e continueremo a votare contro se si dovesse andare in Aula».

E la Lega? Finora il partito di Matteo Salvini, fedele al patto sottoscritto nel contratto di governo, ha sempre votato a favore. Ma non e’ cosi’ scontato che, qualora si andasse in Aula a votare, confermerebbe il si’. Bisogna considerare, infatti, che approvare la riforma del taglio dei parlamentari allunga necessariamente i tempi del ritorno alle urne, spostando le lancette al 2020.

La data delle elezioni dopo il taglio delle poltrone

Dopo il via libera finale alla riforma, dovranno infatti trascorrere necessariamente tre mesi per la possibile richiesta del referendum. E se la consultazione popolare dovesse svolgersi, per tutti gli adempimenti tenici e normativi occorrerebbero diversi mesi, con una procedura che terminerebbe nella tarda primavera del prossimo anno. Ma anche se il referendum non dovesse svolgersi, comunque non si potrebbe andare a nuove elezioni prima di marzo 2020.

Insomma, sarebbe un buon motivo per spingere la Lega a non votarla. A cui se ne aggiungerebbe un altro: se è vero che il taglio dei parlamentari potrebbe favorire alle urne la Lega, che farebbe manbassa di collegi uninominali, è altrettanto vero che l’allungamento della legislatura potrebbe innescare un’alleanza trasversale di tutti gli avversari politici di Salvini, che potrebbero dar vita a una riforma elettorale in senso puramente proporzionale, che danneggerebbe il partito di via Bellerio.

A titolo esemplificativo, ricordiamo la scorsa votazione che si è svolta il 9 maggio alla Camera sul primo via libera alla riforma che dà una sforbiciata netta di di 345 eletti, ovvero un terzo dei parlamentari attualmente previsti. I voti a favore sono stati 310, i contrari 107 e 5 astenuti. Hanno votato contro Pd, Leu e una parte del gruppo Misto. Hanno invece votato a favore M5s e Lega, a cui si sono aggiunti i voti favorevoli di Forza Italia (che poi nel voto al Senato ha scelto di non partecipare) e FdI.

Tra le file azzurre alcuni deputati hanno votato contro, in dissenso rispetto alla linea del gruppo, mentre molte sono state le assenze. Ma se questi voti, come si diceva prima, saranno confermati in quarta ed ultima lettura, la riforma rischia di non essere approvata, in quanto e’ richiesta per le ultime due letture da parte di Senato e Camera la maggioranza assoluta degli aventi diritto.

Scorrendo i tabulati della prima votazione alla Camera, non hanno partecipato al voto – ma non risultavano in missione e quindi non giustificati – 12 deputati della Lega e 13 del Movimento 5 stelle. Risultavano invece in missione – quindi assenti ‘giustificati’ – 24 deputati della Lega e 32 del Movimento 5 stelle. A subire la maggiore defezione e’ stata Forza Italia, con 63 deputati che non hanno partecipato al voto. Guardando solo ai voti della maggioranza, i gialloverdi in quell’occasione ‘persero’ 81 voti, tra deputati in missione e deputati che non hanno partecipato al voto.

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