Verso un governo giallorosso? I dubbi di Pd e M5S e il rischio imboscate

Zingaretti fa sapere a Di Maio che la condizione per sedersi al tavolo e cercare una maggioranza alternativa a Lega-5Stelle è quella di una prospettiva di lungo periodo, al contrario di quanto dice l’ex premier

Niente governicchi. Niente piccolo cabotaggio. Niente paura delle elezioni. E, almeno per il momento, niente Conte bis. Sono queste le condizioni messe sul piatto dal segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti al Movimento 5 Stelle e a Luigi Di Maio. Sullo sfondo, l’incognita rappresentata da Matteo Renzi.


Una posizione che non cambia, rispetto a quella della vigilia del discorso di Giuseppe Conte al Senato, delle grandi accuse a Matteo Salvini e della rottura di ieri. E anche, per Zingaretti, il primo tassello della trattativa con i grillini.


«Se ci sono le condizioni per una maggioranza alternativa bene», è il ragionamento di Zingaretti. Ma il segretario dem tiene il punto in vista della direzione nazionale di oggi del Pd, prevista dalle 11 al Nazareno e a oltranza fino a risoluzione della crisi di governo: bene le parole di Conte, condivisibile il suo discorso, ma alto è il «rischio di autoassoluzione» e necessario resta un segnale di discontinuità con il governo gialloverde.

Il fattore Renzi

Anche Zingaretti, come Conte e Di Maio, ha le sue gatte da pelare e si chiamano Matteo. Renzi, l’ex premier, per alcuni resuscitato politicamente dalla crisi a trazione salviniana che, almeno per il momento, sembra tutto tranne che un’operazione di successo, sta giocando da alcuni giorni la sua partita. E la vera domanda, dentro e fuori il Pd, è quanto ci si possa fidare di lui.

Il «senatore semplice di Scandicci» non dovrebbe essere oggi alla direzione del Pd, confermando il suo costume di non parteciparvi più da quando non è più segretario. Una «sensibilità», la definisce Maurizio Martina ieri a In Onda su La7 con un sorriso.

Di certo le mosse politiche, mediatiche e pubbliche di Matteo Renzi lo hanno riportato sulla scena. Sponsorizza, Renzi (che detiene la maggioranza dei gruppi parlamentari del Pd dell’attuale Parlamento, frutto delle elezioni del 4 marzo e delle liste decise quando il segretario era lui), un esecutivo con i 5 Stelle quasi «di scopo», che metta a posto i conti, si occupi dell’emergenza economica, della manovra di fine anno, di scongiurare l’aumento dell’Iva e che poi, archiviate questi passaggi potenzialmente impopolari, mandi tutti al voto.

Il sospetto degli zingarettiani, vincitori invece del congresso del partito, è che si tratti esattamente del tempo necessario – e mancato fino a ora – che serve a Renzi e ai renziani per riprendersi il partito o organizzare la propria forza politica e poi staccare la spina all’esecutivo: un esecutivo che dovrebbe appunto essere ricordato solo per provvedimenti difficili.

Una bomba da disinnescare, dunque. E infatti, ricostruiscono oggi Corriere della Sera e Repubblica, Zingaretti fa sapere a Di Maio che la condizione per sedersi al tavolo e cercare una maggioranza alternativa a Lega-5Stelle è quella di una prospettiva di medio/lungo periodo, e di un esecutivo strutturato. La parola d’ordine, poi, resta discontinuità.

La direzione di oggi confermerà la composizione della delegazione che salirà al Quirinale per le consultazioni: il segretario Zingaretti, i capigruppo di Camera e Senato Graziano Delrio e Andrea Marcucci, e il presidente del Pd Paolo Gentiloni.

La partita del M5S

All’interno del partito fondato da Beppe Grillo si sta giocando un’altra partita. Su due nomi. Da un lato quello del dimissionario presidente del Consiglio Giuseppe Conte: per Di Maio la soluzione più naturale del governo giallorosso che verrà.

Il vicepremier, infatti, arriva fino a qui con una leadership azzoppata. Non può permettersi un ribaltone interno con una convergenza su Roberto Fico, potenzialmente invece gradito al Pd e al momento unico nome su cui potrebbe convergere una mediazione tra le due forze.

Nè può permettersi un nome “terzo” come quello di Raffaele Cantone, per non disperdere la sua posizione di forza che dopotutto viene dal 33% portato a casa alle elezioni del 4 marzo 2018 e dai conseguenti numeri in Parlamento. Conte bis, quindi, per Di Maio: e d’altro canto il discorso del premier di ieri lo colloca ora naturalmente a esponente di primo piano dei 5 Stelle.

Zingaretti, che pure dovrebbe avere avuto contatti anche con l’«avvocato del popolo», esclude per il momento questa possibilità. Proprio per la necessità di quel segnale di discontinuità da un governo che (unico punto su cui anche Renzi è d’accordo) ha licenziato provvedimenti come il decreto sicurezza bis. Risultati che, tra una bastonata (politica) e l’altra a Matteo Salvini, nel suo discorso ieri Conte non ha disconosciuto ma anzi rivendicato.

Matteo Renzi e Nicola Zingaretti. ANSA/Angelo Carconi

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