Lotti non segue l’amico Renzi e resta nel Pd: «Il perché lo scoprirete più tardi»

Dal sindaco di Firenze Dario Nardella ad Andrea Romano: «Io resto»

Il no più drastico all’abbandono del Pd è arrivato dal deputato Luca Lotti, ex ministro ma soprattutto pilastro del “giglio magico” ai tempi di Renzi a palazzi Chigi. I rapporti tra l’ex premier e l’ex ministro non sarebbero più quelli di un tempo – i due si conoscono da quando Renzi è stato sindaco di Firenze – al punto che Lotti ha confermato che non seguirà la scissione renziana: «Resto nel Pd, lo confermo e lo ribadisco…», ha detto uscendo dall’udienza del processo Consip, nel quale è imputato per favoreggiamento. Sui motivi però è ancora mistero: «Il perché lo scoprirete più tardi».


Via sì, ma non tutti. Il dado è tratto per Matteo Renzi che oggi ufficializzerà la scissione dal Partito Democratico. Sono 162 i parlamentari Pd, di cui 60 su 111 i deputati renziani alla Camera e 35-40 senatori su 51. Ma, quella che doveva essere una risposta in massa alla chiamata dell’ex segretario e primo ministro verso la formazione di un nuovo partito potrebbe avere invece molte perdite lungo la strada.


I dubbiosi

C’è poi il senatore Dario Parrini tra i nomi che hanno deciso di continuare l’esperienza del nuovo governo in casa con il Pd. Lui, fedelissimo renziano, ha chiarito, come riportato dal Corriere della Sera, che «l’unico posto dove si può fare una battaglia efficace per un’Italia con più crescita e meno ingiustizie è il Pd. La mia battaglia riformista continuerò a farla qui, perché non credo che si possa rafforzare il riformismo in Italia se lo si indebolisce nel Pd. E l’uscita senza dubbio lo indebolisce».

A Renzi servono almeno 20 deputati per formare, da regolamento, un nuovo gruppo parlamentare alla Camera. Ma i nomi potrebbero appena bastare per superare la soglia prevista. Al Senato dove invece non è possibile formare gruppi che non si siano presentati alle ultime elezioni Renzi dovrebbe contare su 8-10 senatori che andranno a confluire nel gruppo misto.

Parlano poco alcuni fedeli renziani che aspettano l’intervento di Renzi a Porta a Porta prima di sbilanciarsi su un sì alla nascita di una nuova forza politica. Neanche Maria Elena Boschi, braccio destro di Renzi, si è espressa a riguardo. Così come Francesco Bonifazi, ex tesoriere del Pd, che per il momento tiene la bocca cucita sulle future mosse.

È invece sicuro il “no” di un altro fedelissimo di Renzi, Andrea Romano, che equipara questa scelta a una sconfitta: «Traslocare altrove equivale a riconoscere una sconfitta. Sotto la nostra tenda ci sono diversi riformismi. Bandiera rossa? Non ci vedo niente di male: non è l’inno sovietico. Io voglio cantare Bella ciao, O bianco fiore».

Resta al governo M5s-Pd anche il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, e insieme a lui il costituzionalista Stefano Ceccanti che definisce la mossa di Renzi «una scelta non all’altezza delle aspettative». Opinione a cui si accoda anche il sindaco di Firenze Dario Nardella: «Io resto nel Pd. Ci ripensino: divisi siamo tutti più deboli».

A Bruxelles

Tutte da definire ancora le eventuali partenze dalla pattuglia dem al Parlamento europeo. Il sentimento più diffuso è lo sconcerto, a partire dalla tempistica con cui Renzi ha deciso lo strappo. Ma anche il dispiacere, come ammette l’europarlamentare Simona Bonafè all’Ansa. Considerata tra le più vicine all’ex premier, Bonafé è ancora in fase riflessiva: «Per me è una sofferenza, anche personale ma per ora non voglio dire di più».

Il disorientamento riguarda anche le europarlamentari dem Pina Picierno e Alessandra Moretti, storicamente legate alla corrente renziana: «Ci siamo confrontate con Bonafè e Picierno – ha detto Moretti – ci sarà une riflessione, ma in questo momento prevale il dispiacere». Tra i riflessi dispiaciuti c’è poi il nuovo arrivato Nicola Danti, ripescato dopo la nomina di Roberto Gualtieri a ministro dell’Economia.

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