L’ambiguità che sta dietro l’astensione del centrodestra sulla commissione Segre

di OPEN

L’italia politica non è mai stata una nazione pacificata. Siamo passati anche da una guerra civile e, in tempi meno lontani, da una doppia sfida terroristica lungo i cosiddetti anni di piombo. Oggi quei rischi non sono più all’ordine del giorno, e l’odio – come si sa – da fisico si è fatto virtuale. E illusoriamente anche indolore. Così pure qualche forza politica – in modo diretto o attraverso siti manovrati – ha cominciato a usare discredito, delegittimazione e odio come armi social di massa, col mirino puntato verso avversari in difficoltà, “nemici” stranieri, gruppi etnici o religiosi “diversi”. La commissione Segre, la cui istituzione è stata decisa ieri dal Senato, dovrebbe occuparsi anche di questo? Se non lo facesse verrebbe meno a una parte importante dei suoi compiti. Sì, ma come? Già la definizione del suo perimetro di azione sarà oggetto di discussione. La dissociazione del centrodestra dalla nascita della commissione ha in sé la volontà di evitare questo tipo di analisi critica?


In realtà le cattive pratiche di propaganda negativa su larga scala via social non sono certo solo una prerogativa dell’attuale opposizione, e peraltro una ipotetica condanna o sanzione della commissione verso i messaggi social di un leader (facciamo l’esempio di Salvini) avrebbe solo l’effetto di farlo apparire vittima di una censura “di regime”. Il vero rischio invece per il centrodestra dopo la sua dissociazione dalla nascente commissione anti-odio potrebbe semmai essere un altro: che sia letto come un segnale lanciato nel profondo del web più buio, il vero habitat di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e islamofobia. Insomma un ammiccamento, come si è già visto in questi tempi difficili. Un messaggio implicito ma chiaro: la dittatura del politically correct vorrebbe cancellarvi, noi no.


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