Caso Giovannino, il ginecologo Silvio Viale: «Gara di adozioni penosa: vi spiego cosa significa davvero curarlo»

Finito nella bufera per un durissimo post sulla vicenda del neonato abbandonato a Torino, il medico punta il dito su chi «non si è preso la briga di capire» la gravità del caso

«Partiamo da un fatto: così come è stata lanciata, la notizia è falsa. Non è stata una fecondazione eterologa, ma una semplice fecondazione assistita, cioè i gameti erano dei genitori biologici». A parlare è Silvio Viale, classe 1957, ginecologo dell’ospedale ginecologico Sant’Anna di Torino. Ha militato nei Verdi e nel partito Radicale ed è ex presidente del Comitato Nazionale di Radicali Italiani oltre ad essere dirigente dell’Associazione Luca Coscioni.


Noto per il suo attivismo, combatte da sempre per il diritto all’aborto, ma non solo: è famoso infatti, tra le altre cose, il suo impegno a favore dell’uso della Ru486 (la pillola abortiva, ndr).


In queste ore è protagonista di un post che sta diventando virale in cui esprime – in quanto medico del reparto – alcune considerazioni sulla storia di Giovannino, il neonato affetto da Ittiosi Arlecchino – «una malattia più unica che rara» – e che, a causa della patologia contratta, è stato abbandonato dai genitori, in ospedale, dopo la sua nascita.

Professore, quante possibilità c’erano di prevedere una malattia di questo genere?

«In una parola: nessuna. Malattie di questo genere necessiterebbero di amniocentesi, e quand’anche si ricorresse a questa pratica, bisognerebbe scovare circa 6000 geni che ti dicano che c’è il pericolo il neonato nasca malato. Ci deve essere un portatore perché si possa prevedere. E questo non era il caso».

Cosa comporta l’Ittiosi Arlecchino dal punto di vista delle terapie e delle spese mediche?

«Sono costi inimmaginabili, parliamo di migliaia di euro e terapie continue. Sarò molto franco e crudele: non è come avere la sindrome di down, qui si parla di una malattia per cui esistono basse possibilità di sopravvivenza. E chi sopravvive è sottoposto a cicli ininterrotti di controlli, interventi, e chissà che altro. Non è uno scherzo».

Giornali, internet: come giudica la gara di solidarietà?

«La giudico una cosa penosa, mi dispiace dirlo. E troppo facile sorridere, fare i pietosi e mostrare magnanimità a parole, facendo telefonate a vuoto. Il punto è che nessuno si è preso la briga di capirci qualcosa, nessuno sa a cosa sta andando incontro e nessuno ha voluto, per ora, sapere nulla di Giovannino».

Cosa ha innescato la fuga di notizie, visto che il caso risale a quattro mesi fa?

«Dicono, così ho letto su La Stampa, sia stata la confidenza di un’infermiera alla persona sbagliata. Ma il punto non è questo: il punto è che dopo un tot di mesi l’ospedale non sa come affrontare questo problema, la fuga di notizie c’è stata perché ora il grande interrogativo è: a chi lo diamo questo neonato? Anche perché dopo quattro mesi di degenza, la Regione Piemonte non provvede neanche più ai costi per il ricovero.

Quindi è da qui che nasce il caso.

«Sì, e mi scuso profondamente, anche se non sono io l’artefice, per questa gogna mediatica cui sono sottoposti i genitori. Un dolore immenso deve essere per una coppia che si era già dannata per la gravidanza e ora si danna per l’epilogo della storia, grazie anche a questi quattro galli del pollaio del web».

Che finale prevede?

«Mi auguro ci sia un qualche benefattore milionario, lì, da qualche parte, che si faccia carico della cosa. Diversamente, nessuno lo adotterà, le persone scappano da situazioni simili».

Nel messaggio che ha scritto su Facebook, dice: Non dobbiamo essere eroi, ma rimanere pietosi nelle avversità, senza l’arroganza di ergersi a giudici di quello che pensiamo non saremo mai. 

«Esatto, provo solo profonda comprensione per quella coppia. Anche io avrei fatto lo stesso. Chiunque lo avrebbe fatto. Non prendiamoci in giro, per favore».

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