Omicidio Sacchi, vestito nero e nessuna risposta: il silenzio dell’amico di Luca ora in carcere

Non ha voluto rispondere né spiegare le circostanze in cui l’amico è morto. Al giudice ha stretto la mano: “Devo studiare le carte”

Era uno degli interrogatori più attesi della giornata, quello del giovane Giovanni Princi, l’amico di Luca Sacchi finito in carcere per traffico di stupefacenti: la notte in cui Luca è morto, Princi e Anastasia – dicono le accuse della procura – stavano trattano l’acquisto di quindici chili di marijuana.


Gli atti resi noti finora dicono parecchie cose di Giovanni: che è l’unico ad aver avuto un precedente per spaccio, visto che recentemente, nel corso di un controllo gli avevano trovato della droga. Che due settimane prima della sparatoria – l’11 ottobre – l’avevano fermato con un “pusher” noto alle forze dell’ordine: Luca era con lui, a breve distanza.


La richiesta di custodia cautelare della pm che ha guidato l’indagine dei Carabinieri, Nadia Plastina, si spingeva anche a dare altri dettagli, spiegando che Princi la notte del 23 ottobre aveva detto al fratto di Luca di essere al pub di fronte al quale il ragazzo sarebbe stato ucciso “per lavoro”.

E che lui aveva certamente coinvolto Anastasia: «È possibile che sia stato lui a coinvolgere Anastasia (notoriamente le donne passano più inosservate e vengono utilizzate frequentemente come corrieri nel traffico di droga) e che a lei avesse dato il compito di custodire nello zaino il denaro destinato al pagamento della marijuana proprio per le precedenti accertate vicende afferenti gli stupefacenti (archiviate) che lo hanno riguardato», si legge nella richiesta.

Infine: se c’è qualcuno che può spiegare chi sia il finanziatore che aveva messo in mano a un gruppetto di ragazzi dell’Appio Latino 70mila euro da investire in marijuana, questo è proprio Princi.

Lui, però, almeno per il momento non parla. Davanti al gip Costantino De Robbio e alla pm Plastina si è presentato silenzioso e freddo: interamente vestito di nero, ha stretto la mano a tutti, al giudice ha riservato persino un accenno di inchino.

Non una parola sull’amico morto davanti al pub o per Anastasia, né un cenno di dolore (almeno, mostrato al giudice). Nel dare le generalità ha specificato che è laureato, in psicologia. E che appunto non poteva rispondere alle domande: «Devo avere il tempo di leggere gli atti», tutto qui.

Il suo avvocato ha spiegato che in realtà il ragazzo è addolorato, che è dispiaciuto per l’amico. Ma la sensazione che si respira negli ambienti investigativi è che la freddezza di Princi dimostri ancora una volta che aveva già fatto il salto rendendo il commercio di stupefacenti il suo “core business”.

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