Custodi della memoria e dei nostri diritti: cosa vuol dire fare l’archivista in Italia oggi – L’intervista

Nonostante il settore sia in crisi, ci sono giovani che continuano a volerne far parte. È il caso di Matteo Sisti che ha lasciato il suo lavoro a tempo indeterminato per fare il libero professionista nel mondo degli archivi

«Mi sono sempre sentito un archivista un po’ atipico. Sono libero professionista, ma ho lavorato anche come dipendente. Sono iscritto all’ANAI [Associazione Nazionale Archivistica Italiana ndr] ma credo che la figura dell’archivista vecchio stampo abbia bisogno di un grande rinnovamento, che l’archivista debba uscire dall’archivio».


Si presenta così Matteo Sisti, 36 anni, professione archivista, titolare di Memorie di Marca, una piattaforma web nata per ospitare gli inventari e le descrizioni di archivi. La sua è una storia particolare, di rinascita e di reinvenzione in un settore – quello dell’archivistica pubblica – in stato, ormai, di perenne crisi. Si tratta di un enorme patrimonio dal potenziale inespresso, oltre che una risorsa indispensabile per i cittadini. 


I problemi sono diversi ma si riassumono, in modo forse troppo semplicistico ma comunque vero, nella mancanza di fondi. Mancano fondi per la ristrutturazione, per la manutenzione e per le assunzioni. L’organico per tutto il ministero dei Beni Culturali è fissato in circa 19mila unità, anche se quello di fatto sarebbe di circa 15mila persone, ma la forza lavoro degli archivisti è composta di circa 2mila 700 persone. Dal primo gennaio saranno solo 1.200. 

Basta fare un giro per alcuni tra i principali archivi d’Italia per rendersi conto dello stato di incuria in cui versano. A Genova per esempio l’Archivio di stato è chiuso da 15 anni mentre i lavori di ristrutturazione sono fermi da tempo. A Firenze l’archivio è chiuso al pubblico dal 10 giugno per due giorni a settimana a causa di mancanza di personale.

La parola d’ordine è “digitalizzazione”: fare copie digitali dei documenti per migliorare la loro conservazione e facilitarne la consultazione, con il rischio, però, che gli archivi si svuotino. Ma comunque, per tenere viva la professione ci vuole anche altro: una nuova generazione di archivisti. Che siano in grado di interpretare il ruolo in moda da rimanere al passo con i tempi. Così almeno, sostiene Matteo Sisti.

Come mai ha deciso di fare questo mestiere e come si è preparato?

«Ho scelto di fare l’archivista anziché lo storico perché ritenevo avere maggiori possibilità, ma alla base c’era una grande passione per documenti storici. Dopo una prima laurea specialistica in scienze archivistiche ho conseguito il diploma alla scuola dell’archivio di stato di Bologna e in seguito ho deciso di specializzarmi nell’ambito degli archivi digitali. Dopo un master all’università di Macerata ho iniziato l’attività professionale. Attualmente sono libero professionista, seguo progetti diversi, dal riordinamento degli archivi storici a consulenze che faccio per soggetti pubblici e privati sempre nell’ambito della gestione documentale e la conservazione di archivi digitali»

Come mai ha deciso di licenziarsi? 

«Avevo un posto sicuro e un posto a tempo indeterminato. Le mie motivazioni erano in parte familiari, ma in parte anche perché sentivo l’esigenza di fare questo mestiere a 360 gradi. Vado molto fiero del progetto che sto portando avanti che riguarda il riordinamento e la conservazione di un archivio di persone ibrido, che è l’archivio dell’onorevole Massimo Vannucci: sarà il primo archivio che conterrà al suo interno tanto i documenti analogici, quanto i documenti informatici dell’Onorevole, come la corrispondenza che abbiamo recuperato dal suo account istituzionale della Camera dei deputati»

Come ha fatto a reinventarsi professionalmente e quali sono state le difficoltà a cui è andato incontro?

«Stare in azienda ti permette di essere più al passo con le novità, se sei da solo e non hai la fortuna di partecipare a progetti importanti, rischi di rimanere un po’ indietro. È anche un po’ il motivo per cui mi manca il lavoro di gruppo. La mia fortuna è stata lavorare accanto a figure di informatici, matematici ecc. La figura dell’archivista è necessaria ma non basta più, una volta bastavamo noi, ma oggi dobbiamo contaminarci anche con gli altri, perché non è più come in un archivio fisico di una volta»

Come dovrebbero essere gli archivisti nell’epoca digitale? 

«Credo sia giunto il momento di fare corsi di formazione che non obblighino a fare tre scuole per essere in grado di riordinare un archivio storico. Oggi dobbiamo sperare che in futuro ci sia una formazione più completa. Tenendo sempre presente che le basi dell’archivistica professionale valgono anche adesso. Ma servono più competenze, come possono essere le conoscenze informatiche. Banalmente, non possiamo non conoscere linguaggi come Html»

Lei diceva che l’archivista dovrebbe uscire dall’archivio. 

«Servirebbe anche per far capire all’opinione pubblica l’importanza di un ruolo che, per esempio, può permetterti di salvaguardare la memoria, oppure di ritrovare un documento per attestare un tuo diritto. A volte noi parliamo un linguaggio molto complicato e fuori dalle nostre stanze nessuno sa cosa facciamo. E nessuno si scandalizza se rischia di venire meno il nostro ruolo»

Ci sono anche problemi strutturali, come la mancanza di personale.

«Il personale che sta dentro agli archivi di Stato non è tutto archivista. Spesso si tratta di persone che vengono da altre professioni e dalle quali non sempre ci si può aspettare un servizio idoneo. Non contano soltanto i numeri»

Mi ha detto cosa devono dare gli archivisti all’Italia. Cosa si aspettano gli archivisti dall’Italia invece?

«Al di là delle opportunità di lavoro e di crescita, sarebbe bello che gli italiani ne riconoscessero il ruolo estremamente importante. In archivio quando riusciamo ad aiutare uno storico a trovare un documento che cerca, oppure un ragazzo a ritrovare i documenti del nonno partigiano, quando vedo l’emozione negli occhi di queste persone, la gratificazione va al di là dello stipendio, di tutto il resto». 

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