Interviste emergenti: I miei migliori complimenti, «musica che parla di amore e di frutta» – Milano

Una produzione che nasce grazie a un Macbook: Walter Ferrari, artista nell’anima, vive a Milano, ha studiato alla Bocconi, ha amato Carolina e ha pianto al Rocket

Il nome inganna: i “complimenti”, in questo caso, vanno fatti al singolare. Walter Ferrari, nato a Sondrio «in mezzo alle montagne», il 21 febbraio 1992, è un solista: ha una band, ma solo nei live. Per il resto scrive, canta e produce da solo. Ci sono lui è il suo fedelissimo Macbook alla base delle fotografie di vita quotidiana che I miei migliori complimenti mette in musica.


Prima che l’indie, prima che il “preso male” egemonizzassero il panorama pop italiano, Walter aveva autoprodotto Le disavventure amorose di Walter e Carolina: il suo ep di esordio uscì nel 2015. All’epoca il cantante e musicista di Sondrio viveva a Milano e studiava all’Università Bocconi. Da quel mondo e da quegli anni, segnati da una relazione d’amore finita male, trae ispirazione la produzione musicale di Walter.


Il suo terzo ep è uscito il 27 novembre 2019: «Le femmine i maschi è la stagione finale di questa lunga serie divisa in 3 parti (si, lo so, ci ho messo tanto) ma non vissero tutti felici e contenti – racconta Walter -. I miei migliori sono lo specchio della mia vita sentimentale e, ultimamente, i sentimenti me li sto tenendo in tasca».

E adesso? «Mi sono sempre piaciute le trilogie. Volevo dare un tocco cinematografico a I miei migliori complimenti, quindi ho pensato che per diventare grande avrei dovuto fare tre ep. Quello che succederà dopo si vedrà: non sono ancora sicuro di essere diventato grande». Si chiude così un capitolo della vita di Walter che, nascosto da un nome d’arte, l’ha affidata alla musica in una narrazione quasi confidenziale.

Walter, come è iniziato il tuo rapporto con la musica?

«Sono nato in Valtellina. Belle le cime tutt’intorno. Però non ho avuto il cinema fino ai 15 anni. Poi è arrivato il cinema e tutti i valtellinesi hanno iniziato ad andare a cinema. Mi sono appassionato: ma nel frattempo, per passare il tempo, avevo iniziato a interessarmi della musica».

E come mai hai lasciato la tua valle?

«Sono venuto a studiare a Milano in Bocconi. Ho fatto cinque anni in quell’università, triennale e magistrale. La musica continuava a essere una costante, le altre passioni invece cambiavano. Mi sono dedicato al mondo digitale a del lusso. Oggi continuo a vivere a Milano e lavoro nel digital marketing e nella moda».

Mi sembra di vivere un cortocircuito nel vederti, nell’ascoltare la tua musica e, contemporaneamente, immaginarti studente della Bocconi per cinque anni.

«Ci sono tanti cliché intorno a quell’università. Nell’immaginario comune c’è il bocconiano che entra in aula in giacca e cravatta, con la ventiquattrore e legge, appunto, Il Sole 24 Ore. Non è più così. Oh meglio, io ero comunque “quello strano”. Andavo in tuta, rispondevo a tutte le domande senza pensare. In realtà c’era però un sacco di gente di qualsiasi estrazione sociale e di qualsiasi background culturale. C’è una visione un po’ distorta di quell’ambiente. Però è vero: ero io quello più strano di tutti».

Restiamo sulla Bocconi. Lì, a qualche decina di metri, c’è un bar iconico di Milano: Gattullo. Il tuo brano che ha avuto più successo è Colazione da Gattullo. Ce lo racconti?

«È un punto di riferimento, abitavo praticamente lì. Ci andavo spessissimo, a dire la verità più a pranzo che a colazione. Ho descritto semplicemente quella che era la mia relazione sentimentale nel momento in cui mi trovavo. Era un tipo di scrittura molto legata ai luoghi, alle piccole cose, al quotidiano. Una scrittura che adoravo quando ho scritto quell’ep. Adesso mi voglio staccare da quello stile: voglio fare qualcosa di più poetico, più evocativo, senza l’elemento del phon che finisce nella vasca o delle cuffie intrecciate».

Tornando indietro, ti dedicheresti di più alla musica e meno al resto?

«Guardare indietro è sbagliato. Fondamentalmente, quello che fai è sempre il frutto di ciò che hai fatto prima. Quelle canzoni le ho scritte perché ho frequentato la Bocconi. Che ne so magari potevo studiare anche in Bicocca – ride -, non è quello il punto: ma è aver fatto l’università che mi ha portato a scrivere quelle canzoni in quel modo lì».

Nella tua breve carriera, sei stato più bravo che furbo?

«Sono stato troppo poco furbo. Perché non mi piacciono le scorciatoie. Ma chiariamo: “bravo” non intendo dei meriti. Mi riferisco a essere belle persone, oneste. Non so se si è capito tanto in Colazione da Gattullo. Ci sono molti passaggi di quel testo che sono rimasti oscuri. Grazie per avermelo chiesto: è uno dei versi di quel brano che mi piacciono di più».

Quanto tempo della tua giornata passi a scrivere musica?

«Al fare musica dedico, purtroppo, le ore sulle dita di una mano della settimana. Magari un paio di ore al giorno le investo per la musica, ma non nel farla: c’è un circo da gestire tutt’intorno. Questa cosa mi sta limitando tanto, mi piacerebbe fare di più: ma per adesso va così».

C’è una nota di rammarico.

«Perché l’aspirazione resta riuscire a lavorare sempre meno e a fare sempre più musica».

Tornando a quello che hai già prodotto, ritieni ci sia stata un’evoluzione significativa da un ep all’altro?

«Assolutamente. Innanzitutto ogni ep ha un tema. “Tutto quello che accade dopo che una coppia si lascia” è quello del primo ep. Il tema del secondo è “la vita di coppia”. E il terzo ep sembra gridarmi “Ehi Walter, ti buttiamo nel mondo dei single, vedi che succede”. È un casino pazzesco a livello concettuale. A livello di scrittura non vedo un cambiamento radicale perché ho scritto gli ep tutti nello stesso periodo. A livello musicale, di nuovo, il cambiamento c’è: il primo mega Lo-Fi, il secondo ha una produzione un tantino migliore e il terzo arriva a un lavoro di suoni che considero decente».

Che genere di musica fai?

«Faccio musica pop, credo. Anzi, musica leggera: stessa dicitura di quando deposito i brani in Siae. Leggera perché è musica che può ascoltare chiunque. Infatti una cosa che mi fa molto piacere e vedere qualche cinquantenne ai concerto. Capita, di rado, ma capita».

Eppure molti ti definiscono “indie”.

«Questa roba dell’indie – ride -, è successa perché nella scrittura c’è chiaramente un rimando a quel tipo di scrittura musicale situazionista. Ma lasciatemi essere il più pop possibile».

Qual è stato il live più bello che hai fatto?

«È stato molto bello il concerto al Rocket del 2018. Era allora che iniziavano a girare un po’ di cose intorno a I miei migliori complimenti. Poi il Rocket è un posto per me famigliare, è una specie di bar sotto casa. Suonarci, con così tanta gente presa bene, c’è stata un’invasione di palco. Chi se lo scorda tutto il pubblico che si arrampicava per venire a cantare insieme a me Colazione da Gattullo».

Ultima domanda, come mai ti chiami questo nome d’arte?

«Perché io e i miei amici abbiamo una fissa per gli artisti alternativi. Per capire se sfondano, facciamo un test e vediamo se hanno battuto Google. Come si fa a battere Google? Devi digitare il nome dell’artista e deve comparire lui prima del significato che il suo nome ha in quanto cosa, città o frase fatta. I miei migliori complimenti ha battuto Google perché, se cercavate tre anni fa, usciva come primo risultato: “È un modo di dire italiano…”. Adesso esco io».

Video: Vincenzo Monaco

Location: Fred

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