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Interviste emergenti: il pride pop dei Twee – Torino

06 Dicembre 2019 - 15:39 Felice Florio
«Per adesso la musica è la nostra attività principale, almeno nelle intenzioni. È quello che vogliamo fare, però non riusciamo a mantenerci con questo, purtroppo», raccontano i Twee. Ma il sogno è nitido: «Cantare sul main stage dello Sziget, in featuring con Beyoncé e Justin Timberlake»

Tre ragazze e un ragazzo si ritrovano a Torino. Due di loro si conoscevano dal liceo e già tra i banchi di scuola sognavano di formare una band. Serve una voce e, arrivate all’università, incontrano Nadia. L’ultimo, il genio dei suoni che riesce a far comunicare tutti gli strumenti, è l’unico ragazzo del gruppo. Se la tira, ma alla fine accetta di entrare a far parte del quartetto.

Loro sono i Twee: Nadia Gai, voce. Gianluca Leo, chitarra e programmazione. Giorgia Ruggeri, basso. Margherita di Saint Pierre, batteria. Dopo un primo periodo in cui suonano cover, compongono e danno alla luce il loro singolo d’esordio Every Week. È il 2015 e il loro primo brano entra nel giro di Mtv Music. Sky lo sceglie come colonna sonora di alcuni spot e i Twee, nel 2016, calcano il loro primo palco importante: il Blue Note di Milano, un monumento del jazz italiano.

Di lì allo Sziget festival di Budapest passano meno di due anni: nel frattempo, le etichette discografiche si affacciano e permettono ai Twee di pubblicare due album. High singolo estratto dal primo disco, Mango, è una canzone “arcobaleno”: diventa l’inno della libertà sessuale e del coming out. La band, che suona musica ascrivibile al genere pride pop, adesso è in tour con il secondo album, All You Can Italy.

Quando siete diventati una band?

Nadia: «Ci siamo conosciuti nel 2012, ognuno di noi aveva il proprio percorso musicale amatoriale. Giorgia e Margherita avevano questo sogno dal liceo».

Giorgia: «Siamo diventate amiche durante le scuole superiori: abbiamo sempre voluto formare una band ma non riuscivamo a trovare le persone per iniziare. Si può far poco con basso e batteria».

Gianluca: «Volevate rimorchiare, diciamoci la verità».

Giorgia: «Non è vero, i bassi rimorchiano poco. Poi abbiamo incontrato Nadia, la nostra voce, e ha fatto sua la nostra idea».

Nadia: «Per ultimo abbiamo assoldato Gianluca. All’inizio faceva “il prezioso”. Abbiamo dovuto pregarlo per unirsi a noi, non si presentava alla prove. Abbiamo insistito un casino per avere quest’uomo nella band. Alla fine ce l’abbiamo fatto e sono nati i Twee».

E cosa suonavate all’epoca?

Nadia: «Prima di uscire con qualche nostro pezzo, abbiamo avuto un periodo in cui facevamo le cover degli altri. Abbiamo suonato di tutto, dai Verdena agli Strokes: qualsiasi cosa che un adolescente possa ascoltare. Finché, un giorno, abbiamo suonato una cover di Asaf Avidan: un artista israeliano che ci piace molto ancora oggi. Grazie alla sua cover il nostro attuale manager e produttore, Marco Vipiana, ci ha notati».

Cosa vi disse?

Nadia: «Marco ci ha consigliato di iniziare a scrivere delle canzoni nostre. Eravamo totalmente digiuni, nessuno di noi l’aveva mai fatto prima: poteva essere un flop totale. La verità è che scrivere è diventata una droga: era il 2014».

Gianluca: «E nel 2015 è uscito il nostro primo singolo, Every Week. Fu come un turning point: grazie ai riscontri di quella canzone, tutto quello che è venuto dopo è stato un tantino più semplice».

Nadia: «Quel pezzo è andato su Mtv, è stato scelto come colonna sonora di uno spot di Sky, abbiamo vinto il Roxy Bar».

Gianluca: «Era la prima canzone e l’unica che avevamo scritto».

Da allora quanti dischi siete riusciti a pubblicare?

Giorgia: «Due! Il primo si chiama Mango ed è uscito il 9 settembre 2017. Il secondo, All You Can Italy, il 28 marzo 2019».

Bastano due album per poter vivere facendo musica?

Giorgia: «Per adesso è la nostra attività principale, ma solo nelle intenzioni. È quello che vogliamo fare ma, purtroppo, non riusciamo a mantenerci con questo».

Nadia: «Anche perché, avvicinandoci tutti ai 30 anni, abbiamo scelto di vivere fuori casa. Bisogna pagarsi l’affitto, le bollette. Personalmente, però, trovo che il fatto di mantenere una vita normale sia fonte di ispirazione per le canzoni».

Giorgia: «E ti sprona a dire: “Non voglio fare un lavoro normale, voglio fare la musicista”, e quindi riversi un sacco di energia nella musica».

Gianluca: «Tutti abbiamo altri lavori: io, Giorgia e Margherita facciamo gli inventaristi».

Giorgia: «Do pure una mano a mio padre in tabaccheria».

Nadia: «Io ho tipo tre lavori».

In tutto ciò, quando trovate il tempo per scrivere i vostri pezzi?

Gianluca: «Facciamo tutti mestieri compatibili con la musica, in modo da avere tempo e flessibilità da dedicare ai Twee. Considerate che gli impegni vanno oltre al processo creativo dei brani: ci sono le pubbliche relazioni, la grafica, i social network».

Nadia: «L’obiettivo primario resta la musica, è una questione di scelte: noi abbiamo deciso di fare lavori senza aspettative di carriera perché la nostra strada è la musica».

Qual è stato il vostro primo vero live?

Nadia: «Il nostro primo concerto in assoluto è stato il Lesbian Woodstock. Tre giorni di festival a Verona solo per donne lesbiche».

Gianluca: «Infatti io ero un po’ un pesce fuor d’acqua».

Nadia: «Tra l’altro ci invitarono in tempi non sospetti. Non avevamo ancora deciso che la questione “pride” sarebbe diventata la nostra bandiera. Quell’aspetto è venuto fuori dopo la pubblicazione del brano High, in cui affrontiamo il tema del coming out. Da lì in avanti, non abbiamo smesso mai di parlare di diritti Lgbtq+».

Adesso la comunità Lgbtq+ è il vostro habitat naturale?

Gianluca: «Quel brano è stato un po’ anche il nostro coming out musicale: ci ha portato a partecipare a una serie di eventi legati alla comunità Lgbtq+. Abbiamo cantato all’Indie Pride di Bologna ad esempio».

Giorgia: «Nel 2019 abbiamo fatto un tour nel tour dei pride. Siamo stati a Genova, Asti e molti altri eventi collaterali, sempre inerenti alla difesa dei temi Lgbtq+».

Nadia: «Sono le nostre storie personali che ci hanno portato ad affrontare questi argomenti anche a livello musicale. Noi e i nostri amici facciamo parte della comunità Lgbtq+».

Farne una bandiera è una scelta coraggiosa che, per certi versi, può anche portare a escludere una parte di pubblico che non si riconosce in voi.

Gianluca: «È come per i cantanti che decidono di parlare di una storia di amore. Spesso succede perché l’hanno vissuta sulla propria pelle. Così noi abbiamo avvertito la necessità di parlare dei diritti Lgbtq+, soprattutto in un periodo storico in cui ce n’è davvero tanto bisogno, purtroppo».

Giorgia: «Quando musicisti, attori, personaggi pubblici si espongono in un certo senso, non fanno altro che aiutare chi resta nell’ombra e non ha nessuno con cui parlare delle proprie difficoltà».

Nadia: «È triste perché l’orientamento sessuale, l’identità sessuale fanno parte della sfera privata. Ma siamo costretti a parlarne per dare sostegno a chi magari si sente isolato dal contesto in cui vive».

Giorgia: «Noi che possiamo esporci attraverso la musica, abbiamo deciso di farci carico di questa responsabilità. Così da aiutare gli altri a sentirsi più liberi di essere chi si vuole, senza temere i pregiudizi».

Fino al punto di dare un nome a un genere musicale. È vero che fate pride pop e che cos’è?

Giorgia: «È una definizione molto facile da immaginare se la si visualizza visivamente. Pensate agli eventi pride: la prima cosa che viene in mente è un arcobaleno, il simbolo della comunità Lgbtq+. La nostra musica è ben rappresentata dai colori dell’arcobaleno, come la comunità: i brani passano dal viola, al giallo, al verde. Fanno dei salti cromatici e sono facili da percepire anche solo con il primo ascolto».

Gianluca: «Nei nostri album si passa da un ballata di colore viola a una canzone più latina, quindi rossa. La musica è cangiante, cambia colore. Il blues è blu, lo swing it lo vedo giallo. Il visual è parte integrante dei nostri brani».

Giorgia: «Anche le copertine dei dischi hanno una forte impronta di colore. Il primo, Mango, è giallo. Il secondo, All You Can Italy, è rosso».

Nadia: «Finita la scrittura del secondo disco, prima di essere pubblicato, ci siamo domandati: “Di che colore è?”. Nello stesso momento, ci siamo risposti “rosso!”».

Gianluca: «E io cambio colore dei capelli in base alla copertina del disco. Due anni fa li avevo gialli, adesso rossi. Vediamo di che colore saranno il prossimo anno».

Nadia: «Finché non li perde può divertirsi così!».

Una band a forte maggioranza femminile: tre donne e un uomo. Non è molto comune in Italia.

Giorgia: «Chi è all’interno del settore considera un valore la nostra composizione poco comune».

Gianluca: «Qualche problema l’abbiamo avuto nell’organizzazione dei live. Non voglio chiamarlo pregiudizio, ma abbiamo notato che c’è molta diffidenza verso le ragazze. Non ci prendevano sul serio».

Giorgia: «Magari gli addetti ai lavori si avvicinavano e ti aiutavano a infilare il cavo perché non ti credevano capace, solo in quanto donna».

Nadia: «Non ricordo nemmeno quante volte mi è stato chiesto se fossi capace di infilare un jack in un amplificatore. “Uh che carina, una ragazza che suona il basso”. Penso che passino in testa pensieri del genere a certe persone».

Gianluca: «Perché sono ignoranti e non sanno chi è Roberta dei Verdena, ad esempio».

E il pubblico?

Gianluca: «Di un calore indescrivibile, sempre. Nella nostra breve carriera abbiamo avuto solo una hater che ha passato tutto il concerto con il dito medio alzato verso di noi, ma non siamo riusciti a confrontarci con lei perché alla fine è corsa via. Volevamo chiederle come mai stressasse così tanto i legamenti della mano».

Giorgia: «Riguardo alla riflessione generale, e cioè che il mercato è più orientato verso il genere maschile, penso che c’entri anche una logica commerciale. Le fangirl sono più accanite, si fissano sugli artisti uomini e tendono a idolatrarli, quindi a comprare merch e a seguirli ovunque nei tour. Secondo me questo è il vero motivo, più che una questione di retaggio maschilista».

Quali sono i prossimi step dei Twee?

Nadia: «Al momento stiamo ancora portando in giro All You Can Italy. E poi…».

Gianluca: «No Nadia, non possiamo dirlo ancora».

Nadia: «Diciamo così: ci piacerebbe portare avanti il discorso dei featuring e stiamo lavorando per questo».

D’accordo, aspetteremo. Invece, qual è il vostro live dei sogni?

Nadia: «Ce l’abbiamo, non abbiamo nemmeno bisogno di pensarci. Diciamolo insieme ragazzi, uno, due, tre…».

Gianluca, Giorgia e Nadia: «Sziget!».

Gianluca: «Main stage dello Sziget o il main stage di un festival in generale».

Nadia: «Sì, ci piace molto la dimensione dei festival. Abbiamo suonato per due anni sui palchi del festival di Budapest. Ma era un palchetto secondario».

Giorgia: «Abbiamo detto Sziget perché lì ci siamo già stati e sappiamo che figata è. Però anche il Coachella, il Glastonbury o il Primavera Sound non li disdegnamo».

Nadia: «Immagino già i ballerini, tutto super visual. Poi Giorgia ha il sogno dei fuochi d’artificio sul palco».

Gianluca: «Anche se sono “tamarri”».

Giorgia: «Lo so ma abbiamo questo stereotipo in mente: lo spettacolo da pop star americana. Io ho sempre quest’immagine dell’esibizione di Beyoncé al Coachella. Duecento persone che ballavano, facevano coreografie».

Nadia: «Ecco Beyoncé e Justin Timberlake come possibili featuring li accettiamo».

Gianluca: «Posso aggiungere un palco molto figo? Sfilata di fine anno di Victoria Secret: wow!».

Video: Vincenzo Monaco

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