La psicosi per la recente epidemia di meningite nel bergamasco spiegata dagli esperti

Si parla di mille casi all’anno e i toni sembrano catastrofici. Cerchiamo di fare chiarezza

Il 5 gennaio scorso è stato registrato nel bergamasco il quinto caso di paziente colpito da meningite, un sedicenne di Castelli Calepio ricoverato all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo in gravi condizioni. Nella stessa località lavorava Marzia Colosio (48 anni), deceduta per sepsi da meningococco; prima ancora è morta Veronica Cadei di Villongo (19 anni). 

Oggi si parla di «psicosi» e di file per fare il vaccino, con tanto di partite di volley assegnate a tavolino per assenza dei giocatori, spaventati dall’epidemia in atto. Le Agenzie di tutela della Salute (Ats) di Bergamo e Brescia, in sintonia col Ministero della salute e l’Istituto superiore di sanità (Iss), hanno ampliato la somministrazione gratuita dei vaccini nei comuni considerati maggiormente coinvolti nella zona del Basso Sebino.

Quindi i vaccini non servono?

La vera psicosi è quella di chi ha alimentato la disinformazione sui vaccini in tutti questi anni, anche nei confronti di quello contro il meningococco, secondo alcuni un effetto avverso degli stessi vaccini. Tuttavia il termine epidemia non è del tutto scorretto, solo che fa pensare a una situazione ben più grave che invece si sarebbe avuta in assenza di una copertura vaccinale adeguata.

Il numero di casi registrati è infatti nella norma per la stagione. Si tratta del meningococco C, ipervirulento. In un articolo pubblicato su IoVaccino di Stefano Zona e Pier Luigi Lopalco gli autori spiegano che vaccinarsi «serve ovviamente a proteggersi individualmente contro la terribile infezione. Ma senza panico. Altri strumenti utili per prevenire eventuali casi di malattia invasiva da meningococco sono arieggiare spesso i luoghi chiusi e evitare di rimanere per diverse ore in luoghi chiusi affollati». 

Quindi sì, l’epidemia c’è, ma quelle di meningococco in sistuazioni “normali” riguardano sempre «pochi casi (da poche unità a qualche decina) – continuano Zona e Lopalco – ravvicinati nel tempo e nello spazio. Riconoscere la catena di contagio o l’origine comune dei singoli casi è molto difficile, ma la catena esiste necessariamente».

La percezione sovradimensionata del problema

Colpisce quindi il caso riportato in diverse testate della chiesa di San Filastro, a Villongo, dove su indicazione del vescovo Francesco Beschi verrebbe chiesto ai fedeli di non scambiarsi un segno di pace a messa.  

Il problema è che la meningite si trasmette per via respiratoria, inoltre come riporta il portale online del ministero della Salute «è necessario essere a contatto stretto e prolungato con la persona infetta o trovarsi in ambienti molto affollati».

Come ricordato da tutti gli esperti citati, la situazione ricorda quella verificatasi in Toscana nel 2015. Si scoprì che all’origine dei focolai vi erano delle discoteche. Stando a quanto viene riportato dall’Iss l’epidemia è sotto controllo. Gli enti competenti si stanno già operando per intervenire sul focolaio, circoscritto a una determinata zona della Lombardia.

«Tutti i casi si sono verificati nella stessa area geografica – spiga l’Iss – nell’arco di un mese ma poiché le autorità sanitarie stanno intervenendo in modo rapido e massivo il focolaio può essere circoscritto evitando quindi un’epidemia su larga scala. 

Bisogna tuttavia sottolineare che poiché il vaccino inizia ad avere efficacia dopo 15-20 giorni dalla sua somministrazione, potrebbero verificarsi nuovi casi fino a quando la vaccinazione della popolazione locale non cominci a dare i suoi effetti».

La corsa ai vaccini e agli antibiotici

La situazione può essere preoccupante per il modo in cui viene percepita dall’opinione pubblica. Starebbe avvenendo infatti un “assalto” ai presidi sanitari della zona, col rischio di esaurire le scorte necessarie, inoltre alcuni ricorrono ai rimedi fai da te a base di antibiotici, di cui è noto l’abuso, che a sua volta sta causando una farmaco-resistenza pericolosa, già denunciata anche dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Mille casi di meningite all’anno?

Uno degli infettivologi più autorevoli in Italia, il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova e presidente della Società Italiana di terapia antinfettiva (Sita), è stato intervistato recentemente su Virgilio notizie sulla questione, alcuni casi sono stati registrati infatti anche in Liguria. Secondo l’esperto «in Italia si parla di duecento casi all’anno. Siamo in linea con i numeri nazionali, i cittadini possono stare tranquilli».  

La lettura affrettata dei dati a disposizione ha portato alcune testate a titolare negli articoli sulla vicenda, che in Italia si registrerebbero mille casi all’anno di meningite. In questo modo però si mettono nello stesso calderone tutte le varianti – virali e batteriche – comprese quelle non invasive che si risolvono senza alcun problema.

Stando a quanto riportato dal Rapporto “Interim” del 2018 sulle malattie infettive in Italia, meno di un caso su dieci all’anno riguarda la variante meningococcica, il resto dipende da altri agenti patogeni.

Come proteggersi

Il tempo di incubazione per la meningite virale varia dai tre ai sei giorni. Nella forma batterica da due a dieci. Diventa contagiosa soprattutto nella fase acuta.

I sintomi possono essere febbre, mal di testa, rigidità del collo, sensibilità alla luce, nausea e vomito. Le principali vie di trasmissione avvengono tramite tosse e raffreddore – ma anche baciare una persona infetta non sarebbe una buona idea – di conseguenza si è più esposti al rischio di contagio in zone affollate.

L’associazione IoVaccino consiglia per prevenire il contagio di lavare spesso le mani con acqua e sapone, vaccinarsi, evitare le zone affollate, prediligere quelle ben ventilate e ovviamente non avere stretti contatti con persone infette.

La scheda di IoVaccino per prevenire la meningite.

Foto di copertina: ANSA/Psicosi meningite nel bergamasco.

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