Usa, il Washington Post chiede scusa. Reintegrata la giornalista che aveva ricordato le accuse di stupro a Kobe Bryant

I tweet della giornalista aveva scatenato una bufera di odio e il giornale l’aveva accusata di aver violato la policy del giornale

Erano le 12.50 di mattina il 26 gennaio a Washington D.C. quando Felicia Sonmez, giornalista del Washington Post, condivise sul suo account Twitter un articolo del Daily Beast che riprendeva il caso di stupro di cui era stato accusato il cestista americano, Kobe Bryant, morto poche ore prima in un incidente in elicottero. Una serie tweet che ha scatenato una bufera sul social media e che le è costata, in un primo momento, la sospensione dal suo giornale, il Washington Post. Dopo le critiche ricevute da altri redattori il Post però ha fatto dietrofront. Ecco cosa è successo.


Sonmez risponde alle intimidazioni

La reazione su Twitter all’articolo condiviso dalla giornalista è stata brutale e sono piovute minacce e intimidazioni. Qualcuno ha pubblicato anche l’indirizzo di casa della giornalista, che è stata costretta a cambiare domicilio. In un primo momento Sonmez si è difesa su Twitter, spiegando che a suo modo di vedere «Qualsiasi personaggio pubblico va ricordato nella sua totalità anche se si tratta di una persona molto amata e “quella totalità” è a tratti inquietante».


In un Tweet rimosso in seguito dalla giornalista, Sonmez aveva pubblicato anche uno screenshot di un email intimidatoria ricevuta seguito al suo messaggio iniziale (oscurando il cognome del mittente), aggiungendo: «Difficile vedere cosa si ottiene da messaggi come questi. Se la reazione a un articolo di questo genere comporta ricorrere a molestie e intimidazioni nei confronti dei giornalisti, potresti voler considerare che il tuo comportamento dice di più su di te che sulla persona che stai prendendo di mira».

Il dietrofront del giornale

Un tweet che le è costata la sospensione dal giornale: come spiegato in un blog post del giornalista Matthew Keys, i vertici i dell’azienda le hanno contestato non tanto la condivisione dell’articolo sul caso di stupro, quanto la pubblicazione dell’email intimidatoria ricevuta dai lettori, che potrebbe essere in violazione dei termini di servizio di Twitter.

L’azione disciplinare nei confronti della giornalista non è piaciuta alla redazione del giornale di Jeff Bezos, che in passato è stata all’avanguardia del movimento #metoo contro la violenza sessuale, anche alla luce del fatto che la stessa cronista in passato ha denunciato molestie da lei subite da parte di un collega di un altro quotidiano.

In seguito a un editoriale di denuncia a firma di Erik Wemple, reporter del Post che si occupa dei media, pur criticando il «tempismo dei tweet» della giornalista, il Post ha ammesso che la giornalista non era «in violazione della sua policy sui social media».

Le accuse nei confronti di Kobe

Le accuse risalgono al 2003 quando una camera diciannovenne di un resort del Colorado accusò Kobe Bryant di averla violentata. L’accusa di stupro è stata successivamente ritrattata: rimase la causa civile che però fu in seguito archiviata. Bryant confessò di aver avuto un rapporto sessuale con la ragazza, respingendo l’accusa che non fosse stato consensuale.

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