Siria, il viaggio di Iman Mahmoud Laila: la bimba di un anno e mezzo morta assiderata tra le braccia del papà

Il papà l’ha portata per due ore in braccio, camminando nella neve, avvolta in tutti i vestiti che i genitori possedevano per poterla salvare dal freddo. Ma non c’è stato nulla da fare

Oltre alla guerra e alle bombe, i bambini della Siria devono affrontare anche il freddo dell’inverno. Mentre continuano i bombardamenti aerei su Idlib, l’ultima provincia in mano ai ribelli, sono migliaia gli sfollati che hanno trovato rifugio in campi profughi improvvisati. Secondo la ong Syrian Network for Human Rights sono 700mila le persone costrette alla fuga a causa dei bombardamenti aerei delle forze congiunte del governo siriano, la Russia e le milizie supportate dall’Iran nel nord ovest del Paese.


Tra queste migliaia c’era anche la famiglia di Iman Mahmoud Laila, la piccola di un anno e mezzo morta assiderata all’alba del 13 febbraio tra le braccia del padre. Il viaggio di Iman era stato simile a quello di tante altre famiglie in fuga da una guerra che non dà tregua. Il padre e la madre della neonata avevano trovato rifugio nel villaggio di Ma’rata, vicino ad Afrin, dopo essere scappati dall’assedio sulla Ghouta orientale, periferia di Damasco, da parte del regime siriano.


La bambina si era gravemente ammalata a causa del freddo così il padre ha deciso di portarla all’ospedale, camminando per due ore; arrivati dai medici, ieri all’alba, Iman però era già morta. A causa della bronchite, Iman aveva iniziato a soffrire di problemi respiratori e suo padre ha deciso di portarla all’ospedale Al-Shifa di Afrin, a pochi chilometri di distanza. Prima di partire, alle 5 di ieri, l’uomo ha avvolto sua figlia in una coperta e l’ha tenuta stretta nel vano tentativo di proteggerla dal freddo.

Un viaggio in cui è stata accompagnata dal padre partito «dalla tenda in cui vivono a pochi chilometri da qui perché accusava problemi respiratori», scrive su Facebook il dottor Housam Adnan. «Gli ha messo addosso tutto ciò che possedeva per tenerla al caldo. Ha fatto tutto il possibile per scaldare il suo cuoricino. L’ha abbracciata forte e piangendo ha camminato dalle cinque del mattino nella neve e nel vento. Ha camminato tra le macerie del suo Paese», un Paese in guerra dal 2011.

«I suoi arti erano congelati, ma il suo cuore continuava ad abbracciarla. Ha camminato per due ore prima di arrivare al nostro ospedale. Quando siamo riusciti a separarlo dalla figlia, abbiamo visto il viso angelico della bambina, sorridente. Ma immobile. Abbiamo provato a sentire i battiti del suo cuore ma era morta! Un’ora fa! Quest’uomo ha portato il corpo della figlia senza saperlo».

Ma Iman non è l’unica ad essere morta in questi giorni per le temperature e il freddo troppo rigido. Tanti i bambini, centinaia quelli che in questi mesi hanno perso la vita a causa della guerra e della mancanza di un rifugio appropriato. Anche il piccolo Abdul Wahhab Ahmad al-Rahhal, di sole poche settimane, è morto in una tenda nel campo profughi di Atma, nella campagna a nord di Idlib, dopo che i suoi genitori erano scappati da Khan Sheikhoun.

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