Coronavirus, il racconto di Niccolò: «Voglio tornare in Cina per ringraziare tutti quelli che mi sono stati vicini»

Sul suo viaggio di ritorno il 17enne parla di un’esperienza «surreale»: «Mica ti capita tutti i giorni di esser e trasportato in biocontenimento»

«La prima volta sono arrivato all’aeroporto di Wuhan il 3 febbraio, pensavo di tornare subito a casa, ma ai controlli mi hanno misurato la temperatura, era 37,7, mi hanno fermato alla dogana, hanno cominciato a farmi domande…». Niccolò – il ragazzo di 17 anni tornato in Italia dopo due settimane di isolamento in Cina – racconta la sua esperienza in un’intervista al Corriere della Sera.


«Sono scesi anche due medici italiani e hanno preso di nuovo la temperatura: 38,2. E… mi hanno detto che non era possibile prendermi a bordo», continua. Per Niccolò si è attivata una rete di protezione grazie all’intervento di Sara Platto, dottoressa che vive a Wuhan da sette anni e consulente per la ong ambientalista China Biodiversity Conservation and Green Development Foundation.


«Al mattino sono andato in ospedale per le analisi. All’uscita c’era Tian e da lì è cominciata l’avventura a Wuhan. Mi ha portato in un albergo, è arrivato il risultato del test ed ero negativo al virus. Da allora sono rimasto chiuso in quella stanza», aggiunge Niccolò che ringrazia ancora Tian, volontario con cui dice essersi instaurata «una bellissima amicizia».

Tanta paura e un po’ di sorpresa per il 17enne quando ha visto i suoi 56 connazionali lasciare la Cina la prima volta e altri 8 seconda. «Ho pensato di doverla prendere come una lezione della vita e sapevo di non essere solo, che un sacco di persone mi stavano aiutando. La seconda volta mi sono arrabbiato, non era possibile, ancora la febbre che io non mi sentivo di avere. Ma fuori ad aspettarmi questa volta era rimasto Tian… e beh, è stato diverso dal 3 febbraio».

Niccolò si trovava in Cina da agosto, era partito con un gruppo di studenti italiani del programma Intercultura e viveva con una famiglia cinese al nord, nella provincia di Heilongjiang. «Il 19 gennaio siamo andati nello Hubei, a visitare i nonni della coppia che mi ospitava. Un villaggio di campagna, 50 case. E quel giorno sono arrivate le notizie dell’epidemia. Sono rimasto chiuso lì, fino al 3 febbraio». È proprio in quella casa di campagna dove Niccolò sembra aver preso freddo e quindi la febbre.

Sul suo viaggio di ritorno, il giovane parla di un’esperienza «surreale»: «Mica ti capita tutti i giorni di esser e trasportato in biocontenimento». Il 17enne spera inoltre di poter tornare a studiare in Cina dopo l’epidemia da Coronavirus: «Soprattutto voglio andare a ritrovare tutti quelli che mi sono stati vicini, Tian, il dottor Zhou e la dottoressa Sara e il personale dell’ambasciata, il console Poti».

Fonte immagine copertina: Niccolò | Instagram

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